Storie dell’altro secolo: Cocorito
Era un dopo pranzo di una tarda primavera fine anni sessanta quando le teste dei playboy dell’epoca si girarono all’unisono verso destra fino a compiere un arco di 180 gradi. Come ogni giorno si stavano godendo la solina seduti fuori il Giulia, gambe sdilungate e facce rivolte verso il Giardino. Ad attirare la loro attenzione fu l’avvicinarsi di una macchina rara al tempo, una Citroen bianca, modello stascion wagon targata NO. Era talmente carica di pacchi e bagagli che a malapena si riusciva ad intravedere la testa dei due occupanti.
Posteggiarono proprio superato il bar, accanto alla trattoria “da Ottavio”. Appena fermato il motore si vide un nudo braccio di femmina uscire dal finestrino nell’atto di stirarsi. I due stettero qualche minuto in macchina, come per riposarsi dal lungo viaggio, fino a quando finalmente si aprì una delle portiere posteriori e con un balzo ne uscì un cane bianco chiazzato di nero il quale, essendo quella probabilmente la prima volta che vedeva il mare, incominciò a correre eccitato ad ampie falcate lungo la banchina. Dopo il cane la prima a scendere fu lei, ed ai ragazzi, che erano già in religioso silenzio, si fermò anche il respiro. Una visione. Avete presente una statua greca di quelle che magari le manca mezzo braccio ma non ci fai nemmeno caso tanto sono perfette? Ma a lei non mancava proprio niente. Ogni cosa al posto giusto. Ricordo ancora che indossava un paio di pantaloni di velluto marroni a croste larghe così attillati che le risaltavano la forma delle lunghe gambe e come top una camicia bianca sbottonata fino all’altezza del petto e con il collo rialzato. Aveva due spalle d’atleta ed un bel viso che veniva risaltato maggiormente da un taglio di capelli alla maschietta che ci sorprese un po’ tutti perché all’epoca non eravamo abituati a vederlo nemmeno al cinema o alla televisione, basti pensare che la prima a colpire l’attenzione popolare per quel taglio dei capelli fu la famosa “brunetta” dei Ricchi e Poveri. Ma ciò avvene soltanto qualche anno dopo. La giovane donna avrà avuto all’incirca 25 anni e stava fumando con disinvoltura una Muratti Ambassador incominciando nel frattampo a scaricare le valigie sul marciapiede. In quel mentre anche l’uomo uscì. Non tanto alto, con un giaccone a scacchi come il cane, un po anacronistico vista la stagione ormai avanzata, testa senza collo, i pochi capelli tirati all’indietro. Il viso era di carnagione scura, con un neo sotto lo zigomo destro. Gli occhi corvini su un naso leggermente aquilino. In mano aveva una pipa che portava alla bocca ad intervalli regolari dandovi ampie tirate. Ma quello che colpì i giovani, che intanto avevano girato tutte le sedie verso il Moletto, fu il notevole gap di età che pareva esserci fra i due. Ad occhio e croce perlomeno quindici anni. I due dovettero fare diversi viaggi prima di portare tutti i colli al secondo piano del palazzo di Bisio ed una volta terminati si senti la donna chiamare: “Bingooo!”. Il cane che nel frattempo stava giocando con dei gabbiani alla spiaggetta del Moletto udendo il richiamo della padrona di corsa la raggiunse. Passarono pochi minuti ed il finestrone del bancone si aprì ed i due poterono finalmente ammirare il panorama che li si parava davanti ai loro occhi, quando il silenzio fu rotto da un urlo che veniva da sotto il marciapiede: “Cocoritoooooooooo!”. La giovane donna ebbe come un sussulto improvviso e si buttò di corsa per le scale fino a raggiungere la macchina con tutto il fiato in gola. Con ansia sempre più visibile aprì la portiera e ne estrasse una gabbia di vimini dentro la quale c’era un pappagallo tutto colorato. La donna non salì subito e mise la gabbia sopra il tettino e controllo minuziosamente le condizioni del volatile ed una volta accertatosi che era tutto okkei tornò a casa.
Nel frattempo fuori al bar, i giovani si chiedevano chi erano e chi non erano i due ed a rompere gli indugi fu Renzo Carotti che avendoli visti parlare con Bruna di Antigone la avvicinò e con la scusa di prenotare un tavolo per la sera seguente al momento di salutarla fece come tornare indietro e con non chalance gli chiese: “Zia Bruna chi sono i signori…” Il suo ritorno alle sedie svelò il mistero: “È la nuova parrucchiera”.
Irene e Giorgio, questi erano i loro nomi, aprirono il locale in Via Iacovacci e segnò la fine dell’esclusiva di Pietrino Orsini sulle teste femminili di Porto Santo Stefano, teste di cui aveva fino allora avuto l’esclusiva. Ed addio anche alle permanenti e a quelle acconciature gonfiate stile la Mina delle Millebolleblu. Irene portò un taglio più giovanile, più fresco, più alla moda. Tutte le Pilarellaie, quelle del Molo, quelle del Palazzone e molte del Pianetto scelsero questa giovane ragazza che gli diede un look più sbarazzino, più a segno con i tempi, con il solo difetto che, quando cominciava a tagliare non finiva mai. Le scannava. Giorgio era un pensionato, circondato da un certo alone di mistero, ma in fin dei conti una persona garbata, di pochissime parole e mai fuori posto. Quando Irene lavorava a volte stava anche lui seduto nel locale, intento a leggere una rivista o un libro con l’immancabile pipa in bocca, che faceva uscire un odore che a volte piaceva e a volte no alle donne in attesa. Quando erano liberi si facevano lunghe passeggiate sulla banchina, sempre a passi lunghi. Lui teneva le braccia incrociate dietro la schiena, e lei lo prendeva dolcemente sottobraccio. Davanti a loro gioioso Bingo correva.
Ma ben presto un giovane indigeno appartenente ad una famiglia benestante fece amicizia con la coppia. Il ragazzo era molto fine. Una specie di dandy. Alto, magro, carnagione bianchissima piena di efelidi. Vestiva sempre elegante, anche d’estate in pantaloni e camicia a maniche lunghe con l’immancabile foulard al collo simbolo di quell’epoca. Difficilmente lo si vedeva abbronzato nonostante che, spesso e volentieri era alla guida di potenti motoscafi. Quale lavoro facesse veramente in pochi lo sapevano. Chi diceva che era un broker, ma ogni tanto lavorava anche al Nautico. O meglio giocava con il pulsantino da marconista. Chi l’ha avuto da insegnante ricorda che la mattina era talmente stanco che si addormentava sul pulsante. Due punti una linea un punto. Poi di colpo il dito si pigiava e faceva una linea che non finiva più. Erano molto legati fra loro che erano sempre insieme.
Intanto Cocorito divenne croce e delizia degli abitanti del Molo. Infatti come tutti i pappagalli c’era dei momenti che fischiava in continuazione e gridava il suo nome all’infinito. E questo è normale, altrimenti che pappagallo sarebbe stato. Il problema era che questi momenti erano sempre in ore molte delicate. All’alba e nel primo pomeriggio. In quegli anni al primo piano abitava un ragazzo all’incirca ventenne insieme alla sua famiglia e francamente la presenza del volatile creava non pochi problemi al giovane. Immaginatevelo nei pomeriggi invernali quando si metteva a studiare dopo mangiato, non era certo facile concentrarsi con tutti quei fischi. Ma il peggio veniva d’estate quando il giovane tornava a casa dalle Streghe di mattina presto. Entrava piano, cercando di fare il meno rumore possibile per non svegliare i suoi, dava un morso alla crostata e metteva sul piatto, a volume bassissimo Bobdylanlikearollingstone, prendeva il Giorno del giorno prima e sdraiandosi sul letto apriva alla pagina dell’articolo di Gianni Brera. Dopo tre righe gli si chiudeva un occhio. Alla quarta il secondo e rimanava con il giornale sul letto. Il meglio sonno. Ma durava pochi minuti, perché all’improvviso un grido squarciava il palazzo: “Cocoritoooooooooooo!. Con un balzo il ragazzo si alzava dale letto e incominciava a smoccolare verso Cocorito, Irene, Giorgio e già che c’era pure verso il giovane indigeno. Alla fine esausto strappava due pezzi di giornale, li accartocciava e se l’infilava nelle orecchie con la speranza di riprendere sonno.
Ma Cocorito era anche diventato un dolce passatempo per i più piccoli che andavano alla montagna nella speranza di vederlo. Mentre la sua presenza era conosciuta da tutti, ben pochi sanno che nello stesso periodo al Molo c’era un altro pappagallo. Era quello di Fiore e Linda e si chiamava Arturo. Quest’ultimo però non gridava il suo nome. Faceva soltanto dei lunghi fischi ed i due comunicavano fra loro in questa maniera, fino ad un giorno quando Arturo dette una beccata a Beppino che era intento ad imboccarlo. Campanaro non sentì seghe. Andò nell’apetto, prese la tronchesina e con un colpo secco, zac…li tranciò la testa.
Quelli che seguirono furono per Cocorito dei giorni tremendi. Non sentendo la risposta di Arturo i fischi si intensificarono all’inverosimile fino a quando esausto cessò per alcuni giorni. Sembrava che dovesse morire accorato. Giorgio lo portò pure da Nencioni che però lo rassicurò dicendogli che era soltanto un momento di depressione dovuto alla mancanza dell’amico, che lui sentiva come un rifiuto. Infatti dopo un po’ riprese la solita routine fatta di fischi e urli.
Il negozio fu arredato in modo moderno, e sui tavoli si potevano trovare sia riviste di stampo femminile come Amica, Grazia, Oggi o Gente, ma anche quelli che leggeva Giorgio, ovvero Epeca e l’Europeo. La radio era sempre accesa, ma a volume gradevole e sempre sintonizzata su Radio Monte Carlo dove si alternavano le voci di Luisella, Auanagana e dell’Olandese Volante.
La prima aiutante di Irene, quella storica, fu Marina la Gallina, una delle ragazze più carine di Lividonia. Media altezza, volto da pubblicità. La prima cosa che Irene li fece gli tagliò i capelli alla maschietta pure a lei. Direi un taglio più che riuscito visto che Marina, ancora oggi a più di trenta anni di distanza non ha cambiato look.
Lavorarono insieme diversi anni anni fino a quando la giovane imparò il mestiere talmente bene che aprì un locale tutto suo, alla curva vicino l’Armobel. Al suo posto fu assunta Serenella di Salvetto e dopo di lei Beatrice. Il negozio era per signora, ma ciò non toglieva che fosse frequentato anche da qualche giovane. Al tempo Faido lavorava ancora come da garzone da Livio, la scelta era quindi fra Athosino, il barbieretto e Perseo. Poca cosa per chi sognava un taglio più alla moda. È scontato che chi si serviva da Irene lo faceva con molta attenzione di non essere scoperto per non andare incontro alle prese di culo degli amici. Uno solo non lo nascondeva, anzi ne faceva un vanto: il Conte della Bugiardesca.
Mauro è uno che ha basato tutta la sua vita sui capelli. Ancora oggi è uno da tre sciampi al giorno. Uno appena sveglio, un altro a mezzogiorno, il terzo prima di andare a dormire. Guai se vedeva un granello di forfora sul maglione, figuriamoci se la mattina trovava un capello sul guanciale. Subito telefonava ad Irene chiedendo un appuntamento. È stato lui il primo ad usare le fialette ricostituenti per i capelli.
Fialette che già allora costavano 10.000 lire l’una. E si parla degli anni settanta. Il Conte se ne infischiava se gli amici gli chiedevano se non si vergognava a servirsi da una parrucchiara per signora, e raccontava la libidine che provava nel sentire le mani che gli entravano nel cuoi capelluto, che lo
massaggiavano fino a scenderli sul collo e a penetrargli nelle orecchie. Era convinto che Irene aveva una cotta per lui ed arrivò ad intensificare gli appuntamenti fino ad uno a settimana. Irene solitamente vestiva in pantaloni, ma a volte anche gonne di twid portate al ginocchio.
Amava l’estate e appena la stagione lo permetteva andava la Moletto. Il posto sempre quello. Quello per le cultrici dell’abbranzatura mordi e fuggi. Quello delle donne in carriera, impegnate nel lavoro. Quelle che possono prendere il sole solo dall’una alle tre. Allora come ora Andrea le metteva sotto il pallone di vimini del telegrafo. Faccia rivolta verso gli Ebrei. A quell’ora fa l’effetto di più di due ore sul lettino a raggi uva. Trent’anni fa c’erano Irene, Giovanna, la tedesca di Biancaneva. Oggi quelle che levano i calli, e quelle dello studio di Cingommone.
Irene indossava quasi sempre degli olimpionici neri sgambati e spesso si immergeva nell’acqua come una sirena. Giorgio se ne stava in poltrona a leggere.
Sono ormai tanti anni che hanno ceduto l’attività e si sono trasferiti in quel di Magliano. Ogni tanto tornano. Li ho visti qualche mese fa. Ci ho anche parlato. Irene ha tutti i capelli bianchi ma se possibile è ancora più bella. Giorgio so ‘na sega è sempre uguale a quel primo giorno che lo vedemmo scendere dalla macchina. O era già vecchio allora o il tempo per lui non passa mai. No, non mi sono scordato di Cocorito. C’è chi dice che sia morto di vecchiaia, chi invece da una versione più fantasiosa asserendo che una mattina, quando il sole stava sorgendo dalle spiagge d’oriente, il giovane indigeno in preda ad un raptus di rabbia per fare un dispetto ad entrambi abbia aperto la gabbia facendo uscire il pappagallo che prese il volo nella disperata ricerca di Arturo senza però dimenticarsi di salutare il suo amico del piano di sotto, ed affacciandosi alla finestra della cameretta dove dormiva per l’ultima volta grido’: “Cocoritoooooooo!!!!!!!!!”.
…e Irene al secondo piano è li tranquilla
che si guarda nello specchio
e accende un’ altra sigaretta…
(Alice – Francesco De Gregori)
Una rotonda sul mare il nostro disco che suona