I “paletti” della Pilarella
La bellissima piazza di una volta, che rimane ormai nei ricordi di pochi, a ridosso de “la marina” con la barca di Marcello Rossi sempre ormeggiata al moletto, faceva da cornice al meraviglioso Stadio del Turchese.
Dalla marina piena di polpetti, ghiozzetti, bavose, trigliette, sogliolette, “rummetti”, “brommetti”, granitole e lampatelle, limitato lateralmente dalla banchina di Chiodo e di Giulia e dalla banchina delle “latrine”, lo Stadio del Turchese si estendeva, al largo, fino ai quattro “paletti” e alla “ragostaia” di Mario Accardi.
Lo stadio del Turchese era uno splendido specchio d’acqua, come un laghetto sempre calmo, stupendamente colorato dalle continue sostanze oleose uscenti dalle “romantiche” fogne e caratterizzato dalle innumerevoli teste emerse dei cefaletti furbescamente mimetizzati fra la miriade di stronzetti galleggianti che, superbi, uscivano a ventaglio dalla più bella fogna della pilarella pettinando la “lappetta” cresciuta sotto la carena dei guzzi di Checco, di Armido e di Nino il Napoletano.
Quando arrivavano le altra squadre di pallanuoto e vedevano le “bestie” dei nostri nuotatori i pallanuotisti avversari non volevano neanche spogliarsi, perché si ritenevano perdenti in partenza. Succedeva poi, durante la partita di pallanuoto, che, annusando uno stronzetto prima ed uno stronzetto dopo, anche i nostri nemici acquistavano forza e lo scontro si faceva equilibrato.
Lo diceva sempre Enrico che da quella fogna della Pilarella usciva qualcosa di sorprendentemente magico.
Quello specchio d’acqua, sempre limpido, calmo la mattina od amorevolmente accarezzato dal “foragnoli” pomeridiano, con il fondale che scendeva dolcemente fino alla fascia blu compresa fra la curva della pace e la boa del “Vaporetto del Giglio” sembrava eternamente protetto da quattro imponenti guerrieri: “i paletti della pilarella”.
Erano quattro paletti imponenti ed emergenti sulla superficie del mare, a simbolica protezione del paese e per rendere eternamente sicure le acque dello Stadio del Turchese. I quattro paletti di ferro arrugginito erano lì, fissi sul fondale, giorno e notte, “a guardia dalle spaventose mareggiate invernali e sempre pronti a fronteggiare i continui assalti del terribile Barbarossa”.
“Con i paletti non c’era bisogno né di laser né di GPS”, ed ogni tanto il silenzio della sera veniva rotto dal rumore di qualche barca che, uscendo o rientrando, ne urtava uno mettendo a dura prova dritto, ordinate e l’intero massiccio di prua. In quel momento tutte le sogliole adagiate sulla sabbia delle fondale dello Stadio del Turchese si svegliavano disponendosi in posizione di difesa, ma si riaddormentavano immediatamente ninnate delle bestemmie del pescatore distratto.
Ma un bel giorno anche i paletti andarono in pensione ed anche se per anni la più bella baia dell’Argentario apparve triste e spoglia, remota ormai la paura del pirata Barbarossa, lo stadio del turchese aprì le braccia alla stella polare e si sposò col mare aperto.
Guasti