sabato, Novembre 23, 2024
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Ci lascia “Speggiola”. Un ricordo

Ieri la notizia che non ti aspetti: ci lascia Giuseppe Olivari ex Capitano della Pilarella nella fine degli anni 80. Un fulmine a ciel sereno che ha lasciato di sasso tutti i paesani. Rinnovando le condoglianze a tutta la famiglia, riproponiamo un pezzo di “Storie dell’ altro secolo” firmato da Una rotonda sul mare, che ricorda Beppino e la sua famiglia di pilarellai. Articolo uscito sul nostro sito ad ottobre del 2006…

 

Compar’ Anzio Social Club

Mentre Zi Palle stava preparando le cassette per la sera, seduto su una bitta alla solina, Compa’ Gildo si gustava gli ultimi sigari tenendo il bastone ben stretto fra le mani. Agli Scaloni, due bimbi con la palla giocavano a “su e giù”, intanto Laura la matta faceva fa’ la corsa alle altre ragazzine che non la volevano far giocare a “cinque minuti alle…”.

Di tanto in tanto passava l’arrotino con il suo barroccino e, richiamate dalle sua urla, le donne scendevano per strada con i coltelli da affilare, senza dimenticarsi di mettersi prima un filo di perle al collo. I venerdì dopo pranzo, puntuale da Viareggio arrivava Valenzini con la 1100 color marrone carica di corredi per le donne da marito. Tutto ciò avveniva sotto lo sguardo attento di Anzio che, sulla porta del Social Club, sedeva cavalcioni ad una sedia con le braccia appoggiate alla spagliera.

Quello che vi ho appena descritto altro non sono che frammenti di vita passati sul Molo degli anni ’60.

 

Anzio Olivari naque all’inizio del secolo scorso e la madre oltre a donargli la vita gli trasmise anche il nome d’arte di “Gavurre “. Era l’ultimo di quattro figli. Vittorio il maggiore, abitava con la moglie Natalina all’ultimo piano del palazzo di Giulia, dove ora abita la figlia Magda, la mamma di Giuliana di Yanghe e di colui che io considero fra i più grandi, se non il massimo, storico locale vivente: Vittorio Ballini.

La sorella più grande si chiamava Serafina, la quale andò ad abitare a Roma insieme ai due figli, Toto e Lula. Lula era nominata per la sua bellezza. Gambe senza fine, petto prosperoso e sempre ritto, capelli lunghineri e occhi da cerbiatta. Fatevi conto l’Arcuri. Ma che dico! Di piu’! Quando passava Lula si fermava tutto, persino gli orologi. Non credo di esagerare se affermo che mai nel nostro paese è nata femmina più bella.

L’altra Gavurra si chiamava Palmaria ed abitava nel palazzo di Bisio accanto agli Ebrei. Aveva una figlia altrettanto bella di nome Franca. Era dello stesso stampo di Lula, ma non agli stessi livelli. Negli anni ’50 i figli di Serafina e Palmaria emigrarono in America dove Toto fece fortuna sposando una miliardaria. Dei tre l’unica ancora in vita è Franca, ma da allora non è mai più tornata in Italia.

Anzio era amico intimo di Stefanino De Pirro conosciuto come Lacciughino, il fratello di Mariona, Ada e Checco.

Credo siano stati anche compari, nel senso che l’uno ha tenuto a battesimo i figli dell’altro. Li accumunava la professione. Entrambi comandanti. E la passione per la buona tavola ed il bere esagerato, nel senso che le loro navi potevano rimanere a corto di carburante, tanto c’erano le vele, ma mai di vino.

Professionalmente molto preparati, grandi marinai, coscienti dei rischi del mestiere ma, come tutti i comandanti di quei tempi, erano molto ruvidi con la ciurma alla quale chiedevano la massima disciplina. La maggior parte della marineria santostefanese dell’epoca è passata sotto le loro grinfie. Le mamme si raccomandavano ad entrambi per far imbarcare i loro figli, e una volta accontentate li pregavano: “mi raccomando trattatemelo bene…è una creatura”.

Al che loro, con la voce da orco che si ritrovavano rispondevano: “Non vi preoccupate…ci penso io…”. E quel “ci penso io” invece di tranquillizarle non faceva che aumentare la loro apprensione. Agli inizi ’50, Franco Frigge imbarcò come mozzo sullo Spluga di cui Stefanino era anche armatore. Non ricordo a quale ordine egli non ubbidì, e siccome si trovavano in cucina Lacciughino lo prese a coppinate in testa. Io gli ho conosciuti entrambi quando avevano smesso di navigare e devo dire che nella vita di tutti giorni erano due persone con cui si dialogava piacevolmente.

Negli anni ’30 Anzio si sposò con Livia la figlia di Lisena una delle ultra centenarie del Molo ed andarono a vivere con lei nella casa dell’ultimo piano dove oggi vivono Ida e Demo Bacciani, fino a quando comprarono una casa allo Sconcione, dove Tina, Peppino e Gigetto sono cresciuti porta a porta con il mito di Carlo e Peppe. Da questo si capisce l’amore dei due maschi per il rione. Meno di dieci anni li separava dalla magica coppia e ciò gli permise di osservarli da vicino nel momento dei loro massimi successi. Hanno visto da vicino cosa mangiavano, come si allenavano, la mattina del 15 li accompagnavano in Piazza carichi di speranze per fare ritorno a casa carichi di coppe quando ormai era notte. Negli anni ottanta Speggiola è stato Capitano della Pilarella. Senza successo ma con tanto cuore. Quando i figli cominciarono a crescere si trasferirono a Genova, dove le barche su cui Anzio era imbarcato facevano scalo, anche per dare loro una più ampia scelta di studi. Ma non vi era estate che la mamma e i ragazzi tornavano allo Sconcione per le vacanze. Peppino è l’unico ad aver intrapreso la carriera del babbo, e dopo essersi diplomato al Nautico si è imbarcato fino a conseguire la Patente di Capitano di Lungo Corso.

Fisicamente un Gavurre è l’unico ad essersi stabilito in paese. Gigetto, biondo e carnagione chiara è più simile alla mamma, ma anche lui con lo scafo del babbo. Quando all’inizio degli anni ’60 Anzio andò in pensione, con la moglie fece ritorno in paese, e per passare il tempo prese in affitto il magazzino di Genesio dove oggi c’è l’ufficio dell’architetto Massimo Vongher.

Era un omone. Alto, spalle larghe, faccia scurascura, due grosse mani ed una voce forte.

Andatura lenta. Non so chi ricorda l’Ippopotamo Pippo, il protagonista di una pubblicità in quegli anni. Faceva: “Pippo pippo pippo pa Pippo pippo pippo pa… bambino tu avere bisogno dei pannolini Linus…”. Ecco, per la camminata ed il timbro della voce Anzio gli assomigliava vagamente. O, ma era un bell’omo eh! Il magazzino divenne ben presto il ritrovo di vecchi amici, un mix fra circolo culturale e frasca. La porta era in legno color celestino. All’entrata c’era un tappetino delle Galouise che Anzio aveva ottenuto come gadget dalla fabbrica francese in quanto, da solo, fumava il 50% delle sigarette messe in commercio. Al centro un tavolo, ma sarebbe meglio dire una cattedra coperta da una tovaglietta di plastica cerata a scacchetti bianco e rossi. Appoggiato sulla sinistra un transistor nero comprato in Via Pre’, che Anzio accendeva per ascoltare tutti i bollettini ai naviganti, i notiziari e un po’ di musica classica sulla filodiffusione.

La radio veniva accesa soltanto la mattina, tranne la domenica pomeriggio, quando sedevano tutti intorno al tavolino per ascoltare “Tutto il calcio minuto per minuto” con la schedina bene in vista. Alla parete di centro vi era appesa un’immagine sacra, mi pare di ricordare un Sacro Cuore, con accanto il profano, rappresentato da un calendario di donne seminude. Di tanto in tanto, Anzio lo staccava dal muro e lo metteva sulla tavola, incominciando a sfogliarlo lentamente, da Gennaio fino a Dicembre, e ad ogni sfogliata passava il dito medio sulla lingua.

Lato Moletto erano appese delle cornici formato cartolina, con le foto in bianco e nero del Costanza, del Levante e del Ponente.

Erano le navi su cui Anzio aveva passato la vita. La sua lunga e gloriosa carriera la spese tutta con una delle compagnie più importanti dell’epoca: la Frassinetti di Genova. Era molto stimato dagli armatori e ciò gli permetteva di scegliersi i migliori equipaggi sulla piazza. Il Costanza era un vecchio motoveliero, su cui fra gli altri, come giovanotti di macchina a di coperta furono imbarcati Gigi Bruni e Benedetto Mazzacane. Le altre erano due navi più all’avanguardia dei tempi.

Sulla parete lato Piazza, c’era una scaffalatura di tavola celestina su cui vi erano riposte le cose più preziose. In fila indiana, come tante reliquie, tante bottiglie contrassegnate da etichette scolorite e piccole damigianelle. Sulla strada, parcheggiata davanti al magazzino, la Lancia Fulvia color amaranto di Speggy, coperta da una cappa di tela per proteggerla dall’umidità e dal salmastro quando era imbarcato con la Loyd Triestino.

Anzio usciva di casa verso le otto e mezza e andava da Lavaggi a prendere il giornale. Poi passava dalla Giangia a comprare il filone che sarebbe tornato buono nel pomeriggio ed un pezzo di schiaccia rigorosamente all’acciuga che avrebbe mangiato al fresco del magazzino, accompagnata da un paio di sciacquetti. Dopo aver scambiato due chiacchere con Biagio e Tommaso, apriva le porte del locale facendo cambiare aria, dopo i bagordi della sera precedente e spaparanzato si leggeva il giornale commentando le notizie con Mario Accardi. Ogni tanto entrava qualche panfilista a farsi fare un’impiombatura, cosa che Anzio faceva con molto piacere. Aveva delle dita talmente grosse e ingiallite dalla nicotina, fra una passata e l’altra, gliele ho viste infilare tra i legnoli uso caviglia. E poi le mandolette tipo lanciasagole da usare come portachiavi. Come le faceva Anzio non le faceva nessuno. Io me ne feci fare una con i colori della Pilarella, che ancora oggi conservo gelosamente, e in cui tengo le chiavi della casetta della vigna.

Verso le undici era il momento del solitario. I suoi erano interminabili. Dei veri rompicapo per chi aveva la fortuna di assistervi. In quegli anni, solitamente a Giugno o a Settembre, al Molo arrivava Toto con un panfilo che più che a una barca assomigliava ad una casa galleggiante. Si ormeggiava davanti a Linetta e appena la passerella era a terra Anzio zompava a bordo. Poi il nipote, accompagnato da bellissime signore americane ricambiava la visita andando a trovarlo nel magazzino che in quei giorni era a loro completa disposizione. A mezzogiorno in punto chiudeva. Dopo pranzo si faceva una pennichella e alle due e mezza era di nuovo al pezzo. I primi avventori si facevano vivi verso le tre. Il bello del Social Club era che non aveva giorni di chiusura. Era sempre aperto. Estate e Inverno. Natale, Santo Stefano, Capodanno, Pasqua e Pasquetta, Anzio era lì. Magari con la mutata e la cravatta ma era lì. E dava gli auguri a tutti. Uomini e donne. I suoi saluti erano proverbiali. Prendeva il viso fra le mani e baciando entrambe le guance diceva: “Bella di Anzio”. I clienti più assidui erano Zi Lello e Archimede che, come tutte le coppie che si rispettino erano uno bassobasso e l’altro lungolungo. Si integravano alla perfezione come Thomas Skuravy e Pato Aguillera o per rimanere a quei tempi Omar Sivori e John Charles. Ma per la loro simpatia dovrei paragonarli a Franco e Ciccio. Lello era il babbo di Lella, Elio, Netto, Carlo e Peppe. Quando nacque era talmente piccolo che uno zio prendendolo in collo esclamò: ” Madonna come è piccino! Sembra un moscino!”. Da allora per tutti fu “Lello del moscino”.

Archimede era invece alto e magro con i capelli ritti ed un paio di baffetti imbiancati. Arzillo e andatura dinoccolata. Una specie di Gatto Silvestro. Era il babbo di Lida, Gilda e Cacino. Vittorio Ballini afferma che, gli scienziati oltre a studiare il cervello di Enstein dovrebbero dare un’occhiata anche al fegato di Archimede che, nonostante tutto il vino che s’è pucciato è campato quasi cent’anni. Un’altro era Zi Palle al secolo Romildo Loffredo, il babbo di Floro e nonno di Silvana del Tony. Faceva il friggeraio dal genero Mario Accardi, e fra una cassetta e l’altra entrava a farsi una palletta. Zi Bubi, altro buon bevitore e giocatore di carte. Lui alternava il bicchieretto ad un ormeggio di panfilo. Fra i panfilisti facevano una capatina Ilio Nappone e Ricciolino. Ogni tanto passava anche il Generale Aligi Sclano e, per interrompere la monotonia “alberelli di piazza-passeggiata”, anche Bistecchi e Vittorio Wongher non disdegnavano due sciacquetti. Oltre a bere, naturalmente si giocava a carte e, sopratutto, alle quattro si faceva lo spuntino. Inutile specificare che Anzio sedeva al centro della tavola, con gli altri ai lati come tanti apostoli. Solitamente ognuno portava qualcosa. Si andava dalla tonnina alle anguille sfumate, dalle fiche maschie secche al musciame. Lo scaveccio non mancava mai. Altro frequentatore era Orlando Ricci dell’omonima trattoria che, almeno una volta a settimana portava un pasto un po’ più elaborato, che poteva essere la trippa alla romana, ammazzafegati con contorno di broccoletti, per finire con quello che era la vera passione di Anzio: il baccalà a strappetti con pomodorini. Ogni tanto dalla Grotta scendeva Gigi il Ciolo. Anche lui, come i fratelli Dimas e Enzo, era stato comandante con Frassinetti. Ma lui più che altro veniva per farsi una chiaccherata. Fra loro c’era molta stima. Come ogni locale che si rispetti non poteva mancare la donna del clan. Vincenzina, che abitava nel palazzo di Genietto. Dopo aver vissuto tanti anni a Napoli era tornata in paese intorno la cinquantina. Grande stazza e altrettanta simpatia, usciva di casa vestita sgargiante e truccata pesante. Voce arrochita dalle tante sigarette fumate, camminava inclinata all’indietro con la cicca fissa fra le mani, facendo su e giù per il Molo fino a quando Anzio non la chiamava dentro. Anzio la bevuta se la gustava, non faceva tutto un sorso come la maggior parte degli ubriaconi. Lui teneva il bicchiere sul tavolo, quasi lo accarezzava con la mano, lo faceva roteare e questo creava un gioco di luci con il soffitto. Ai miei occhi sembrava una magia. Chi entrava nel magazzino verso le sei si trovava davanti ad una scena del “Buenavista Social Club” di Wim Wenders con tanti Company Segundo, Ruben Gonzales, Ibrahim Ferrer e Vencenzina nelle parti di Omara Portuondo.

Si udiva un brusio di voci di voci, il fragore delle risate e se anche fuori era gelido e la porta aperta non si avvertiva freddo assolutamente. La massa delle persone presenti, il fumo denso e l’odore dell’alcool rendevano l’aria calda e pesante. Al momento di alzarsi per la chiusura ognuno reagiva in modo diverso a seconda della quantità di vino bevuto. E da come lo reggeva. Archimede ad esempio sembrava impietrito, ma una volta che iniziava a camminare il suo corpo cominciava a vacillare a destra e a manca. Invece Zi Palle faceva le prove. Unoooo, dueeeee,e treeeee. Si dava lo slancio per alzarsi salvo ricadere di schianto sulla sedia. Anzio lo reggeva bene, soltanto gli occhi diventavano piccoli, rossi e lucidi. Ed incominciava a soffiare attraverso le narici come un toro imbufalito. Quando l’ultimo compagno era uscito, dava un’occhiata all’orologio a ciondolo che aveva legato alla vita con una catenella e chiudeva il Social Club. Si alzava il bavero del cappottone e mettendosi le mani nelle saccoccie a passo lento si incamminava verso casa. Era ormai buio pesto quando sbucava dalla Capitaneria, e a quel tempo i bimbi giocavano fino a tardi a “porticina”, che consisteva nel far centro nella piccola porta situata accanto alla piletta sotto la ficaia. Vi partecipavano dai quattro ai dieci ragazzi. A volte anche di più. L’abilità non era soltanto nel fare goal, ma anche nel non lasciare in buona posizione di tiro chi doveva calciare dopo. Ragion per cui tiravano delle svirgole tremende anche a due passi dal bersaglio ed il gioco non si fermava mai, neanche quando passava qualche rara macchina, figurarsi per le persone. Si bloccavano solo quando passava Anzio. “Buonanotte Compa’ Anzio!” “Buonanotte belli!”.

Tutte queste grandi persone è più di un quarto di secolo che non ci sono più. La scorsa estate un po’ più in là di dove c’era il Social Club hanno aperto un’enoteca dove una bottiglia di vino può costare più di 500 euro.

Alcune le tengono addirittura in cassaforte. Pensate come sarebbe bello se, una notte gli spiriti di Anzio, Zi Palle, Lello e Archimede riuscissero ad infilarvisi dentro. Altro che “il colpo dei soliti ignoti”…..

 

…..Una gamba qua, una gamba la’ gonfi di vino

quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino

Li troverai la’ col tempo che fa

estate inverno a stracannar, a stramaledir

le donne, il tempo ed il governo

 

Loro cercan la’ la felicita’ dentro a un bicchiere

per dimenticare d’essere sti presi per il sedere

Ci sarà allegria anche in agonia col vino forte

porteran sul viso l’ombra di un sorriso fra le braccia della morte!

 

(La città vecchia – Fabrizio De Andrè)

 

Ciao

 

Una rotonda sul mare il nostro disco che suona