domenica, Settembre 8, 2024
ArticoliStorie dell'altro secolo

Storie dell’altro secolo: I RAGAZZI DEL MESSICO – 1° Parte

a chi non ha avuto tempo

PIAZZA
17 LUGLIO 2024

Sono le cinque del pomeriggio, il silenzio è interrotto solamente dal fastidioso rumore dei motorini smarmittati che fanno sobbalzare il mio vecchio amico intento a controllare che tutto sia in ordine. Intorno a me e’ tutto cambiato e non vedo più le facce amiche di un tempo ma, grazie al depuratore, la gente sostiene che l’acqua e’ sempre pulita ma io vi posso garantire che ogni tanto un po’ di puzza la sento ancora. Ciò che manca di piu’ siete voi ragazzi che, con la vostra grande energia, facevate sentire giovane anche me. Da quando hanno costruito la piscina al Campone non siete più venuti. Quella fu per me una grossa delusione. Ricordo che al tempo erano indecisi se farla lì o nel mezzo del Giardino Iacovacci. Io speravo in quest’ultimo posto cosi’, anche se non vi avrei potuto vedere, avrei ascoltato le vostre urla e sono sicuro che, al temine di ogni allenamento, mi sareste venuti a trovare, unendovi a me a forza di caproni, conchette, mbembe’ e via sdruccioli. “Ridatemi il campo!”, gridai allora inascoltato. Poi si sa, ci si adatta a tutto e la vita va avanti. Iniziammo a frequentarci sul finire degli anni sessanta quando ben due società di nuoto ripresero il cammino interrotto una decina di anni prima. Mi chiamavo Stadio di Turchese come tutto lo specchio di mare incorniciato tra la Croce e Via del Molo. Il nome me lo diede il Viti all’ imbrunire di un giorno che, dall’alto della sua villa, innamorato mi osservava. Si, avete capito bene, sono il vostro vecchio campo di pallanuoto e insieme, in quei sette anni, ne abbiamo combinate di tutti i colori.. Grazie a voi ero diventato uno dei campi più famosi e temuti di tutta la Toscana e Alto Lazio.
Oggi, 17 Luglio, e’ una ricorrenza importante, principalmente perche’ ricorda l’immane tragedia che colpì non solo la nostra comunita’ ma il Paese intero e, nel mio piccolo, ricorda la data che in pratica ha segnato la mia fine. Ogni tanto qualcuno di voi mi passa vicino e, guardandomi, si ricorda di quei pomeriggi spensierati. Soprattutto i nonni quando portano i nipotini a giocare in piazza. “Nonno, tu vai al bar con i tuoi amici. Quando finisco vengo io da te cosi’ mi compri pure il gelato”. “No, ti aspetto qui. Mi fa piacere e non ti preoccupare che poi il gelato te lo compro ugualmente”. Ma io lo so perche’ rimangono. Per rivivere nelle loro menti quei giorni passati a nuotare nelle mie acque, pensando alla loro gioventù all’inseguimento di un sogno. Sono talmente presuntuoso da pensare che, per chi era giovane in quegli anni e veniva a giocare nel mio campo, ero e rimarrò un pezzo della loro vita. Sicuramente più della piscina che, molti di loro, ha pure frequentato negli anni a seguire. Così mentre aspettano i nipotini, seduti sulle banchine regalate dai russi a volte, piangono. Quelli che abitano vicino, me li immagino nelle loro case, con le loro famiglie , mentre guardano le foto di quegli anni, raccontandoli a chi non li ha vissuti. Ci sara’ chi si commuovera’ a pensare a chi da tanto ormai non c’e’ piu’ e chi, affacciandosi alla finestra a contemplare il mare, gli sembrera’ di sentire il vociare allegro di ragazzi che stanno giocando a pallanuoto. Ma e’ solo un illusione. Mi chiamavo Messico e il nome me lo dettero proprio loro. “Ci troviamo alle sei davanti al Messico per gli allenamenti” dicevano. Questo perche’ Messico era il nome del ristorante che Tonino Cappuccella apri’ a meta’ anni sessanta dove fino ad allora c’era stata l’alimentari di Maria di Mirto.

Sono orgoglioso del mio nome, anche se ormai sono in pochi a ricordarlo. Sono orgoglioso anche della storia che leggerete. Della squadra più spensierata ed in seguito vincente che la pallanuoto santostefanese abbia mai avuto. E del suo allenatore. Con Alberto eravamo amici. Ogni pomeriggio estivo, seppur vivesse e lavorasse a Firenze, veniva a trovarmi percorrendo chilometri su chilometri, soltanto per il piacere di potervi allenare.Quando arrivava in anticipo se ne stava da solo sul gradone scivoloso dietro la porta. In silenzio, gambe a bagnomaria fino alle ginocchia, si rilassava fumando una sigaretta senza aspirare e,ogni tanto, riempiendosi le mani di acqua salata se la buttava sul viso. Era il modo per dimostrarmi il suo affetto. Questa di seguito e’ la sua storia, la vostra storia, la mia storia.

 

HOTEL LA PACE
ESTATE 1948-1959

La prima società di nuoto di Porto Santo Stefano venne fondata nel 1948 da Enrico Zolesi il quale la iscrisse alla Federazione con il nome di Rari Nantes Argentario. Enrico era un ragazzo poco più che ventenne con una gran voglia di fare sia nel campo dello sport che nella cultura paesana. Nei primi due anni l’attività principale fu il nuoto nel quale vennero raggiunti degli eccellenti risultati specialmente dai fratelli Loffredo e il loro cugino Salvatore Schiano. Giacomo “Netto” vinse per ben due volte la traversata dello Stretto di Messina. Dicevano i Romani: “Nel nome e’ racchiuso il destino”. Ma, nei piccoli paesi come il nostro, circolavano piuttosto i soprannomi. Era un tempo in cui “orinale, brache e ragioso” significavano ancora “vaso da notte, mutande e maleodorante” e i soprannomi erano dei veri e propri cognomi, espressioni delle caratteristiche più evidenti dell’individuo. E’ per questo che in questa storia abbiamo deciso di usarne alcuni, non occorre altra precisazione per conoscere (o riconoscere, o immaginare) chi li portava…e perche’.

Sperando di non offendere nessuno. La pallanuoto fu portata da “Raffe” di Pela Pela, al secolo Raffaello Costanzo che proveniva dalla Liguria, esattamente Camogli, con il quale aveva giocato anche in serie A. Era il 1950 e l’attivita’ agonistica, limitata a degli incontri prettamente amichevoli contro squadre del vicinato come Lazio, Roma e Civitavecchia, si svolgeva nel campo montato nello specchio di mare adiacente l’hotel ristorante “La Pace”, allora ancor privo del lungomare. Nel 1952 la società venne iscritta al campionato di serie C e fu inserita nel girone laziale in compagnia del Civitavecchia, Anzio e Romana Nuoto. Per essere la prima volta il risultato finale, un secondo posto, venne considerato eccellente e portò ulteriore ingarizia in tutto l’ambiente. Quell’anno Raffe non pote’ seguire i ragazzi essendo chiamato a svolgere il servizio di leva e lui stesso passò l’incarico al duo Orlandone-Enrico Zolesi. I componenti della squadra erano, oltre ai due allenatori, il portiere Guido Piedi Ghiacci, Cecco il montagnolo, i tre fratelli Loffredo, Dagoberto Pelli, Carcetti e Fulvio lo Zu’.

Con il passare degli anni alcuni giovani, tra i quali Alberto Milano, Alfio Cilletto, Vincenzo Bistecchi, Franco di Maria la bionda, Franco Friggemerda, Pierluigi Costaglione, Giovanni Giosia e Renzo Saluz iniziarono a praticare la pallanuoto con discreto successo tanto da meritarsi qualche apparizione con la prima squadra. Come tutte le cose belle, nel 1958, anche la Rari Nantes, fu costretta a cessare l’attività causa mancanza atleti. Qualcuno si sposo’, Orlandone ando’ a lavorare con Novella a Genova, la coppietta e Cilletto si imbarcarono mentre Vincenzo e Franco entrarono rispettivamente nell’Accademia Navale di Livorno e quella Aeronautica di Viterbo. Alla fine rimasero in pochi anche per poter formare almeno una squadra. Ma quella che, per chi l’amava, era diventata una vera passione non poteva finire cosi’. Infatti, nel 1960, un altro gruppo di giovani sotto la guida societaria di Massimo Busonero, formo’ la Libertas Argentario.

Mai, mai, mai piu’
Io potro’ accarezzarti mia dolce bambina
Mai, mai, mai piu’
Dolci frasi d’amore sentirai come un di’
E per sempre scordarti dovrai un amore cosi’
……………………………………………………
( Impazzivo per te, Adriano Celentano 1960 )

MOLETTO
ESTATE 1960-1968

Le società che nascevano sotto il segno della Libertas erano legate a doppio filo con la Democrazia Cristiana, nelle cui sedi si svolgevano anche le riunioni sportive. Questo naturalmente valeva anche per la nostra squadra i cui capi fondatori, insieme a Massimo Busonero, erano i fratelli Alberto e Cosmo Milano i quali erano anche i responsabili della parte agonistica. Nel periodo tra il 1960 e il 1968 il nuovo sodalizio pratico’ principalmente attivita’ natatoria, all’inizio alla spiaggetta di piazza per poi trasferirsi nelle piu’ comode acque del Moletto. Dei due fratelli si capì fin da subito che il fuoriclasse sarebbe stato il secondogenito Mino mentre Alberto era in possesso di grandi doti manageriali , quella che oggi chiamiamo leadership. Nel Febbraio del 1961 il paese fu colpito dalla tragedia di un naufragio che in colpo solo si porto’ via per sempre quattro suoi figli, tra i quali il nostro Carlo Loffredo. L’anno seguente, in suo onore, il Partito Repubblicano fondo’ la societa’ di nuoto che esercitò fino al 1970. Inutile dire che tra i due sodalizi si venne a creare una grande rivalita’ sportiva anche se, fuori dall’acqua, rimaneva l’amicizia. Anche la Carlo Loffredo svolgeva i suoi allenamenti al Moletto sotto la competente guida di Adorno Schiano e dei suoi due amici Lido Fanciulli e Roberto “Cinghe” Costantini “. La loro sede non poteva che essere quella del Partito Repubblicano situata nel lungomare accanto alla neonata Agenzia Marittima di Danilo Palombo. Bisogna tener presente che al tempo l’attività agonistica veniva svolta in estate, ed i ragazzi iniziavano ad allenarsi al Moletto verso meta’ giugno. A volte, quando il tempo era talmente bello, anche a maggio. In questo caso gli allenamenti si svolgevano dopo il suono della campanella di scuola. Anche se ci fu chi, all’inizio, sosteneva che due società di nuoto erano un nonsense per un piccolo paese come Porto Santo Stefano, la novita’ aumento’ la popolarità di questo
sport e furono molti i ragazzi che vi si avvicinarono. La Carlo Loffredo era molto popolare tra i ragazzi del Molo e dell’intera Pilarella, forse perche’ attratti da un esempio positivo come Adorno, il quale aveva grandi capacità di insegnamento oltre che uno spiccato ascendente specialmente sui più giovani. Non ricordo un pilarellaio che non abbia indossato almeno per un giorno la calottina. Poi si sa, amico chiama amico e anche quelli della Croce e del centro storico si fecero convincere ad unirsi. A memoria, gli unici pilarellai che difesero i colori della Libertas furono Enzino e Franco Picchianti. Il primo perche’ non trovava spazio nella Carlo Loffredo, l’altro probabilmente perche’ aveva tutti gli amici che nuotavano “di la’’ e Alberto, scorgendo in lui grandissime potenzialita’, fece il possibile per convincerlo.

Mino e’ stato, con Giacomo “Netto” Loffredo, il più grande nuotatore che abbiamo mai avuto. Passione, volonta’, forza e resistenza, tutte qualita’ che gli appartengono tuttora e che hanno fatto sì che vincesse innumerevoli competizioni solcando i mari di gran parte del Mediterraneo. A lui la Carlo Loffredo opponeva un atleta portercolese: Santi Bruno il quale, frequentando l’Enem, incontrò Adorno che vi insegnava, il quale lo tessero’ immediatamente. Bruno si allenava da solo nelle acque del Moletto durante l’intervallo delle lezioni o prima di prendere la corriera per il paese nativo.

In estate venivano organizzate gare sia al Moletto che in piazza. Popolare il “Torneo Mares” di nuoto dove, grazie ad Enrico, venivano messi dei premi importanti come maschere da sub, pinne, boccagli. I risultati venivano esposti nella vetrina della cartoleria e, per i bambini, era una vera emozione leggere scritto il proprio nome. A volte le due società venivano invitate dai consorzi del Carrubo e del Mascherino dove potevano misurarsi nelle piscine, fino a quel momento a loro sconosciute. Ii gruppo storico della Libertas era formato, oltre che dai fratelli Milano, da Domenico Schiano grande delfinista, Sergio Gaibisso,Luciano Zolesi, i fratelli Fanciulli, Leonardo Brugi dorsista, Fabrizio del Sor Amerigo ranista, Luciano il cugino di Alberto e Enzino, mentre Adorno con la sua Carlo Loffredo rispondeva con Sergio Orsini, Gigetto Sclano altro grande delfinista, Carlo di Cacaceci, Domenico Busonero, Riccardo Manzoni, Vittorio Ballini e Gigetto il turco miglior tuffatore santostefanese di tutti i tempi. Sul finire del decennio iniziò un discreto ricambio generazionale con l’ingresso nella Libertas di Franco Picchianti, Fabrizio Fanciulli, il ranista Enrico Losderick, Luciano Schiaffino, Luciano Marcellino, Riga Nello e, per gli altri, Pietro Capitani, Massimo Cimini, Renzo Loffredo, il ranista Walteretto, Fiorenzo Bausani, Giuseppino Vandini, Giuseppe Costagliola, Mauro Della Monaca, Marcello, i fratelli Claudio e Vittorio, Stefano di Dudu’, Giannetti, e due fratelli di Grosseto la cui famiglia ogni estate affittava cabina ed ombrelloni al Moletto. Il padre era impiegato alla Banca di Risparmio di Firenze in piazza ed ogni mattina prima di andare al lavoro scaricava la moglie e i due figli dove la Capitaneria. Il più piccolo, Marco, era più bravo a pallanuoto mentre Sandro divenne un ottimo nuotatore ed, in seguito, un eccellente sub. Nel corso degli anni le due società, in special modo la Libertas, raggiunsero risultati interessanti con la conquista di numerosi titoli regionali. Questi successi avevano una valenza molto più grande di quello che si poteva pensare considerando che, a Porto Santo Stefano, non c’era la piscina. Ma nel 1969, proprio mentre l’uomo si apprestava a muovere il primo passo sulla luna, il nuoto solamente cominciò a stare un po’ stretto ai ragazzi ed una importante novità era in arrivo.

This is ground control Major Tom:

You’ve really made the grade
And the papers want to know whose shirts you wear,
But it’s time to guide the capsule if you dare.
This is Major Tom to ground control:
I’ve left for ever more
And I’m floating in a most peculiar way,
And the stars look very different today.
……………………………………………
(Space Oddity, David Bowie, 1969)

 

MESSICO
ESTATE 1969-1970

Nell’inverno tra il ‘69 e il ’70 Alberto Milano decise che la Libertas era ormai pronta per iscriversi al campionato di C promozione FIN. Il campo di gara, 25×16 metri, era tenuto a galla con delle cortici per le reti da pesca, i cui sugheri colori rosso e verde segnalavano i due metri del fuorigioco e i quattro metri dell’area di rigore. Venne montato proprio davanti alla fermata della Rama, dove oggi e’ posizionata l’asta per la bandiera del rione Pilarella, che allora si trovava davanti al comune, precisamente nel braccio che si allungava dalla piazza al mare. Per chi non ha vissuto quel periodo, per onesta’, bisogna ricordare di scordarsi l’immagine idilliaca di uno sport giocato tra i flutti di un mare cristallino a ridosso di una spiaggia caraibica, perche’ la pallanuoto di quell’epoca era tanto piu’ eroica, quanto più veniva giocata in condizioni di estrema precarieta’, anche perche’ ad un certo punto si venne a manifestare quello che oggi chiameremmo un problema di inquinamento.

Intanto perché , in mancanza di depuratore, tutte le condutture di quell’angolo di piazza e del Pianetto venivano convogliate in una sola fogna i cui scarichi sfociavano esattamente accanto al campo di gara. Tali residui si mescolavano alle perdite di nafta delle imbarcazioni che aumentavano a vista d’occhio e, a seconda del vento e del mare, invadevano il campo di gara. Ogni volta che il Carrara veniva a giocare al Messico era una sentenza, e il campo di gioco si riempiva di stronzi, preservativi e assorbenti.

La squadra che affrontò quel primo campionato era composta dai portieri Enzino Cicchetta e Alberto Fanciulli e i giocatori di movimento Angelo Eraca Landini, Massimo Biancaneve, Oscarino, Circe, Mino e il centroboa. Domenico Big. Più tre giovanissimi che durante il campionato si sarebbero creati un loro spazio: il portiere Luciano Schiaffino, il regista Fabrizio P. e l’attaccante Franco “ciccio”. L’allenatore era naturalmente Alberto il quale però era anche difensore. Quando si giocava in casa avevamo un vantaggio notevole in quanto, al contrario degli avversari, ci si allenava in mare e questo non era un dettaglio da poco, perche’, come tutti sanno, in mare non si puo’ regolare ne’ la temperatura, ne’ l’intensita’ dell’onda. La squadra arrivò terza e, come inizio, non era male. Ma il vero successo era poter giocare in un posto cosi’ suggestivo che invitava a fermarsi, non solo i paesani ma anche i tanti turisti che ormai avevano iniziato a frequentare l’Argentario. L’arbitro veniva portato a meta’ campo, lato bar Chiodo, sulla lancetta di Moratta ai cui remi stava solitamente Enrico Zolesi, mentre il direttore di gara stava in piedi in precario equilibrio. Il lato sociale della Rari Nantes era riconosciuto dal fatto che non e’ stato mai rifiutata la prova a chiunque si presentava e soprattutto per quello che Mino, parafrasando Giuseppe Marotta, chiamava l’Oro della Rari, ovvero le persone chiamiamole, un po’ strane, che si avvicinavano all’ambiente, come Impero il Turchetto che, nella vita, faceva il manovale. Era un giovane del Lividonia, solito presentarsi ogni pomeriggio ad assistere non solo alle partite, ma anche ad ogni singolo allenamento. I ragazzi scherzavano con lui coinvolgendolo nei loro giochi e, anche quando era  completamente ubriaco, effettuavano il rituale del quinto tempo dandogli la calottina rossa del portiere bombardandolo di tiri. Era un uomo molto bravo con un so’ che di artista. Mino lo invitava a fare il rumore delle monetine dentro un sacchetto, e lui con il battito dei soli denti, imitava alla perfezione. Ma il suo forte era la canzone. Aveva una bellissima voce blues con la quale si cimentava in brani di successo di quelle in estati:

Parole, non son altro che parole
Che tu dici per convincere me
Cosa fai? Non lasciarmi qui da solo
Resta ancora, forse tu ci riuscirai
Ma non sai che tu
Sei l’amore mio
Non tormentarmi con la gelosia
Percio’ ti chiedo, fidati di me
Il mio amore e’ tutto per te
Ma non sai che tuuuuuuu
……………………………..
( Parole, Nico e i Gabbiani 1967 )

 

Il fatto che era iniziata l’attivita’ pallanuotistica non fece di certo calare l’attenzione verso il nuoto alle cui gare partecipavano entrambe le societa’ presentandosi ai vari concentramenti che si effettuavano, nei mesi invernali, principalmente a Calcinaia e a Civitavecchia. In estate era il tempo di Mino con le traversate per le quali si preparava scrupolosamente tutto l’arco dell’anno. Nulla veniva lasciato al caso. Si consultava mesi prima con il Professor Mazzinghi per le correnti e le maree ed insieme a lui veniva concordata la data più propizia. Prima di cimentarsi nelle piu’ importanti traversate italiane, si impegno’ nella Talamone-Porto Santo Stefano, Giglio- Porto Santo Stefano e Porto Ercole-Porto Santo Stefano.
Sono state quelle mattinate fantastiche ed indimenticabili per chiunque le abbia in qualche modo vissute. Si partiva all’alba per il luogo di partenza che, solitamente, era fissata per le otto. Due sono stati i barcaioli di fiducia che lo accompagnavano: Nino il Nero e Romano Banana con il guzzo di Ferrero. Tra gli accompagnatori fissi c’erano i fratelli Alberto e Cianetto Cudda, Oscarino, Angelo Carosi e il massaggiatore personale Ulisse Gessani, piu’ un paio di ragazzini che si alternavano di volta in volta per imparare cosa significa l’arte del sacrificio Gessani sbucò in paese all’improvviso proveniente dalle Marche. Divento’ nello stesso tempo massaggiatore dell’ Argentario calcio e temuta maschera del Cinema Giardino. Per chi non l’ha conosciuto, somigliava vagamente all’attore caratterista Bombolo ed era in possesso di una voce baritonale. La prima volta che Mino chiese al ‘naprtano se fosse stato disponibile ad assisterlo per la traversata si sentì rispondere: “E che problema c’e’? Basta che portate la benzina!”. “Nino va bene. A quella ci pensiamo noi.” rispose Mino. Al che disse ad Oscarino di pensarci lui. La mattina dopo Fabrizio arrivò davanti a Chiodo sulla Prinz di Cudda e, una volta sceso, si avvicino’ al Marietta che era stata ormeggiata di fianco per facilitare l’imbarco degli ospiti e del carico necessario. Nino se ne stava seduto sulla poppa, canottiera bianca su pantaloni di tela d’africa, gamba accavallata, gomito destro appoggiato sul ginocchio , con la mano si portava lentamente la Nazionale alla bocca.
Pareva sopra pensiero, come sempre più spesso gli capitava da quando sua moglie non c’era più. Bigo, accucciato alle sue gambe, lo guardava preoccupato. Oscarino aveva quasi timore di disturbarlo poi prendendo coraggio si avvicino’ e, solo dopo avergli dato il buongiorno, gli allungo’ la tanica del gasolio.  L’anziano pescatore si alzo’ e dopo averla afferrata borbotto’: “E con questa che ci devo fa’?” al che,intimidito, il ragazzo balbetto’: “ Nino avevate chiesto il carburante…”. “Ma io pe’ benzina intendevo questa!” replicò l’uomo mentre, con la mano a mo’ di trombetta si portava ripetutamente il pollice alla bocca.
Prima di buttarsi in mare Mino veniva massaggiato con grande abilità e forza da Gessani che gli spalmava un grasso su tutto il corpo dicendo: “Con questo non avrai freddo. E’ grasso di balena”.
Durante la traversata veniva tenuto aggiornato del tempo cronometrico che stava facendo, venendo alimentato con zollette di zucchero, con il cioccolato militare e pezzetti di parmigiano e cucchiaini di miele prodotto dalle sue api. Ogni tanto beveva dei sorsetti d’acqua. Lo sforzo lo reggeva benissimo riuscendo a scambiare frequenti battute con gli amici. Dal suo canto Nino era un marinaio esperto. Stava quasi sempre al pezzo in silenzio, scrutando il mare alla ricerca di qualche mutamento di corrente che avrebbe potuto danneggiare o, meglio ancora, aiutare il risultato finale della traversata. Di tanto in tanto si faceva un bicchierotto cercando di scacciare la malinconia. In quelle estati le due società iniziarono anche a dare lezioni di nuoto fornendo un guadagno per se stessa e per i ragazzi disposti a darle. I principali maestri erano Adorno e Mino che a loro volta facevano lavorare anche gli altri piu’ giovani. Gli usufruenti delle lezioni erano principalmente bambini figli di turisti in vacanza. I maestri venivano quindi chiamati a frequentare ambienti fino a quel momento a loro sconosciuti praticando quindi anche gente altolocata. I posti dove usualmente si insegnava erano le spiagge del Moletto, Caletta, Pozzarello e Due Pini, ma il livello saliva di molto quando andavano al Carrubo o al Mascherino. Come era facile prevedere, durante quelle lezioni nacquero anche delle avventure estive e, se a Cortina dettavano legge i maestri di sci, a Rimini i bagnini, a Porto Santo Stefano stavamo entrando nell’epoca di “quelli della pallanuoto”. Tra una lezione e l’altra era frequente scambiare due chiacchiere con la baby sitter, la sorella o, perché no, la madre dell’allievo. A volte il pomeriggio, la femmina interessata veniva avvistata sulla banchina tra la gente che assisteva gli allenamenti. Quando ciò accadeva potevi scommettere che il gioco era fatto. Non bisognava essere degli adoni, ce n’era per tutti ed inoltre bisogna dire che, anche i meno belli, erano in possesso di fisici bestiali atti a fare colpo sul gentil sesso. Le mattine venivano trascorse tra il Moletto e la Caletta. C’era chi dormiva su uno scoglio o chi come l’Accionnato che, salendo sul puntone, trattenendo il fiato fino a quasi scoppiare, impugnava la scaletta facendo in modo che gli si gonfiassero i muscoli e sottovoce, ma non troppo da impedire la preda di sentirlo, canticchiava .

Da dove sei venuta io non so
La voce del tuo cuore
Sara’ magicamente discesa da lassu’
Dal mondo dell’amore
Ricordo di una notte
Che non finiva mai
…………………….
(Concerto, Alunni del Sole, 1969)

 

L’anno seguente, sulla scia della Libertas, anche la Carlo Loffredo si iscrisse al campionato di serie C promozione. Eravamo nel 1970 e, la prima squadra a cimentarsi nella competizione, sotto la guida tecnica di Schiano Adorno, era composta dal portiere Massimo Cimini, i difensori Domenico Busonero, Fiorenzo Bausani, Riccardo Manzoni, i due attaccanti Gigetto e Pietro Mezzochilo ed alcuni giovani come Marcello, Pepo, Renzo e Mauretto. Il tutto sotto la sapiente regia di Adorno. C’era poi un ruolo che Sergio Malizia invento’ tutto per se: l’incursore subacqueo. Sosteneva infatti: “E che io mi butto sott’acqua e spunto davanti alla porta. Te Adorno mettimela li e che poi ci penso io”. Naturalmente l’azione venne provata diverse volte ma Malizia assommava da tutte le parti meno che di fronte al portiere avversario. Fu allora che Adorno ebbe la brillante idea di posare sul fondo una mattonella bianca alla cui altezza Sergio doveva assommare. Ma neanche quella genialata basto’ in quanto non si trattava soltanto di errato senso della posizione ma, soprattutto, di carenza di fiato per cui la mossa a sorpresa svani’ prima ancora di essere provata in una partita ufficiale. Sergio non era un tipo particolarmente cattivo ma era sempre pronto a rompere le scatole a tutti. Portava rispetto solo verso Adorno il quale, quando superava la soglia di sopportazione, lo metteva in purga per un certo periodo escludendolo dal gruppo per poi riammetterlo quando si presentava con le orecchie abbassate. Sergio era anche la persona incaricata per l’accatto che,non essendoci alcun prezzo di biglietto da pagare per assistere agli incontri, veniva effettuato lungo la banchina e ai tavoli del Bar Chiodo. Si faceva prestare la guantiera da Ada e iniziava il giro da dietro la porta fino al Bar Giulia. Chi si rifiutava o che, seppur benestante, metteva una misera somma lo apostrofava a gran voce a colpi di “pidocchioso” facendolo svergognare davanti a tutti. Nel caso lo spettatore offriva una bella somma chiamava l’applauso di tutto il pubblico. Un’ estate davanti al tabacchino che Andrea aveva appena aperto ormeggio’ Claudio Villa con il suo piccolo yacht privato “Golden Eye”. Il giorno di una partita, si sedette insieme alla giovane compagna ai tavoli del Bar Chiodo. Mentre si gustavano un affogato all’amarena e degli uova al tegamino furono avvicinati da Sergio con la guantiera spianata davanti: ” A Sor Cla’ e che non mi fa fa’ brutta figura!”. Il cantante lo guardo’ come a dire “ E questo da dove e’ uscito?” ma poi cavo’ dalla tasca un pezzo da cinquanta e lo poso’ sulla guantiera. Malizia strabuzzo’ gli occhi, essendo una cifra monstre, che si faceva in tre o quattro incontri e, una volta ripresosi, gridò: “E che un grosso applauso per il Re della canzone italiana!”.

Prima dell’inizio della partita e’ prassi che ogni squadra si unisca a cerchio nella sua meta’ campo per gridare un grido di incitamento per la squadra avversaria. Di solito era hip hip hurra’ ma, tra i ragazzi della Rari iniziarono a fare delle grida alternative di non facile comprensione specialmente per la parte avversa. La mente che inventava queste strane parole era Adorno ed e’ cosi’ che nacquero le celebri “ E pe’ il Livorno ciribi’ ciribi’ chia’ chia’ oppure “ E pe’ il Carrara scave’ scave’ zo zo “, per finire con “ E’ pe’ il Firenze pisciateforicarua’ za za” .
La Carlo Loffredo finì il campionato in quarta posizione, mentre la Libertas , con la stessa formazione dell’anno precedente ma con un anno d’esperienza in più, ottenne un eccellente secondo posto. Alcuni elementi si misero in luce in entrambe le selezioni, specialmente gli attaccanti. Per la Libertas Schiano Domenico, conosciuto come Big, il quale era anche il portiere dell’Argentario Calcio con il quale nel 1971 raggiunse la convocazione nella Rappresentativa Regionale. Madre natura gli aveva, portato in dote un galleggiamento strepitoso che lo portò ad eccellere nello Stile Libero e nel Delfino ed in seguito nello sport di squadra. Dietro di lui cresceva svelto Franco Picchianti che era in possesso delle stesse capacità natatorie di Big ma con più potenza. Ma Franco, come d’altronde Domenico, non era soltanto forza. In lui si incominciava ad intravedere una classe cristallina. Movimenti che non gli erano insegnati ma che gli venivano in modo naturale. Un gioco di polso, il braccio non steso a guidare il pallone, con il risultato di una traiettoria lenta ma incontrollabile da parte del portiere che subiva una vera beffa. Oppure quando faceva schizzare il pallone sull’acqua facendolo diventare imprevedibile. Dal lato opposto la Carlo Loffredo rispondeva con una vecchia volpe come Luigi Sclano, grande amico di Adorno che contrariamente al diminutivo con il quale era conosciuto, era in effetti un ragazzone dalle spalle enormi con i lineamenti, capigliatura compresa, più norvegini che mediterranei. La sua specialita’ era il tiro di rovescio per cui, anche se si trovava a tu per tu con il portiere, per tirare doveva girarsi, inarcare il gigantesco groppone e far partire il portentoso tiro che gli spettatori, specialmente quelli di Chiodo, accoglievano con un autentico boato. Pietro Mezzochilo, come Franco Picchianti, era il “nuovo che avanza”. Grande fisico , entrambi in possesso di una botta tremenda. A parte Gigetto, ormai a fine carriera, i tre attaccanti, oltre a una grande forza fisica, erano dotati di classe sopraffina. Il loro muoversi nell’acqua, l’aspettare il pallone per accoglierlo con il braccio e portarlo fin dietro la spalla per poi scaraventarlo con potenza in rete, era paragonabile ad un passo di danza di Nureyev seguito da un tiro di Gigi Riva. Era un vero spettacolo essere spettatori di tanta bellezza. Avendo a disposizione tale materiale umano era un peccato dividerlo in due squadre così che, sul finire di quella estate, si inizio’ a pensare ad unirle per formare un’unica selezione che sarebbe stata sicuramente piu’ forte.

MESSICO
ESTATE 1971-1973

Era il 30 Ottobre 1970 quando, nella retro stanza del Club, tra un Tropical e un Cognacchino, si realizzò l’idea della riunificazione dei due sodalizi con la nomina di Presidente, ad una persona super parte, che venne individuata in Enrico Zolesi e che, come vent’anni prima, venne chiamata Rari Nantes Argentario. L’idea non piacque a tutti ed infatti inizialmente alcuni si tirarono fuori. Uno su tutti Schiano Adorno che, fedele al suo credo politico-sportivo senza dimenticare che Carlo Loffredo era suo cugino primo, si prese un anno sabbatico continuando pero’ il suo allenamento personale nuotando ed uscendo in canoa appena il tempo glielo permetteva. La prima squadra era formata dai seguenti atleti: Portieri Giovani Luciano detto Africa e Schiaffino, difensori Angelo Eraca, l’Accionnato, Fiorenzo, centrocampo Oscarino, Fabrizio, Mino, attaccanti Big, Gigetto e Salluca che faceva un po’ la boa e un po’ il portiere. Allenatore naturalmente Alberto il quale viveva la sua passione ventiquattro ore al giorno. Il campionato in cui fu iscritta la Rari era ancora la serie C promozione e, non essendoci alcuna squadra per i campionati giovanili, i ragazzi venivano invitati ad allenarsi ugualmente incontrando ogni pomeriggio i titolari, quasi sempre battendoli. Intanto anche alcuni ragazzi forestieri che frequentavano in estate il Moletto iniziarono ad avvicinarsi all’ambiente. Il primo fu un giovane di Siena, Luca Cortesi che venne la prima volta in paese che aveva si e no sei anni. Il primo anno abitava in affitto in Via del Molo, in seguito la famiglia acquisto’ un appartamento in Via Cappellini. I genitori gestivano un negozio di calzature nella città del Palio per cui ad accompagnare il bimbo veniva sempre e solo il nonno. Al tempo la villeggiatura non era mordi e fuggi come adesso ma durava tutto il tempo delle vacanze scolastiche, per cui Luca stava al moletto da Giugno a fine Agosto. Ma il vero pezzo forte era il nonno. Chi l’ha conosciuto non potra’ esserselo dimenticato. Basso di statura, colorito rosso paonazzo, capelli bianchi all’indietro, camicia bianca su bermuda blu’, per piu’ di quarant’anni ha portato lo stesso tipo di calzatura: un paio di scarpe nere con la punta bianca che indossava dalla mattina alla sera, anche per andare alla spiaggia dove
avevano lo stesso posto riservato anno dopo anno. Inoltre teneva la Gazzetta dello Sport in mano per tutto l’arco della giornata. Luca inizio’ con la Carlo Loffredo per poi proseguire con la Rari. Bel centrovasca, ragazzo loquace il giusto ma amico di tutti. Dopo di lui vennero Enrico Cardile detto Milo Vispo Culone ed Otello Menozzi. Milo era nato a Firenze ma viveva a Roma. Era un difensore molto arruffone ma anche uno di quelli che in un gruppo ci deve stare. Quando manca se ne sente la mancanza, d’altra parte ci deve essere stato un motivo se era una delle vittime preferite degli scherzi di Renzo. Il terzo era Otello Menozzi, di ruolo portiere. Veniva ogni estate al mare da Roma insieme ai genitori ed al fratello più piccolo. Abitavano allo Sconcione nel palazzo che era stato di Don Gino prima e della Coppietta poi. Grande fisico anche lui, era un vero figlio del post ‘68. Studente modello, Renzo lo chiamava Menozzi, ed ogni volta che lo incontrava gli recitava una poesia di Pascoli, Leopardi o Carducci. Stile freak, indossava anche d’estate dei mantelli, cosa che fino allora avevamo visto fare solo a Raspi. Cambiava continuamente capigliatura, un anno capelli lunghi, un altro rasta, un’altro ancora completamente a zero ma con una lunga coda di cavallo. Nelle sere di fine estate si riuniva con la sua compagnia alla spiaggetta del Siluripedio e, attorno ad un falò, suonava la chitarra accompagnando gli altri che cantavano.

Ma ti ricordi l’acqua verde e noi
Le rocce e il bianco fondo
Di che colore sono gli occhi tuoi
Se me lo chiedi non rispondo
……………………………………………….
(La canzone del sole, Lucio Battisti, 1971)

 

Quell’estate un giovane proveniente dal beneventano iniziò a girare intorno all’ambiente della pallanuoto facendosi subito adottare. Seppur con i capelli corti per doveri militari, sfoggiava un gran paio di baffoni neri come la pece. Era un tipo esuberante, sempre pronto a dare una mano quando il bisogno lo richiedeva. Sapeva appena nuotare ma quello sport gli entro’ dentro. Quando si fidanzo’ con una bella ragazza del posto, Malizia proprio davanti al Messico gli disse: “ E che ora il tu socero ti mette a pela’ li galli!”. Neanche il tempo di finire la frase che scoppio’ una rissa sedata a fatica da chi era presente. Ma il soprannome pelagalli, rimase in modo perenne tra gli addetti ai lavori. Amico di tutti, andava d’accordo soprattutto con quelli piu’ giovani di lui e con Mino che in fatto dell’essere burlone non era secondo a nessuno. Quando tra il pubblico presente, al Moletto o in piazza, vedeva qualcuno che puntava una ragazza lui si avvicinava furtivo e, mentre con l’indice faceva finta di levargli la libidine dagli occhi, cantava sempre il solito motivetto.

Quanta polvere negli occhi
Quasi non vedevo piu’
Quanti sogni belli che
Son crollati insieme a me
…………………………….
(Mamma mia, Camaleonti, 1969)

 

Una rotonda sul mare il nostro disco che suona

 

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