sabato, Novembre 23, 2024
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Quando il “maestro” suonava dalle Fauci

Sono uno dei pochissimi ventenni ad avere avuto la fortuna di conoscere Publio Terramoccia in uno dei periodi della sua vita artisticamente più attivi.
Premetto che sono il figlio di una delle gemelle di La Fauci, e da bambino (parlo dei primi anni 90’) in quella pasticceria ci abbiamo trascorso interi pomeriggi estivi.

Palmiro Scotto organizzava delle serate de “Li Bindoli” che vedevano come protagonisti Publio e le gemelle negli intermezzi musicali, e un gran numero di attori improvvisati, impegnati negli sceneggiati santostefanesi.
Durante l’inverno si perdevano completamente i contatti con Publio, ma una volta cominciata l’estate lui evadeva da Roma, e come se fosse uno qualsiasi andava da Palmiro e gli chiedeva se poteva partecipare a qualche serata.
Una volta ricevuta la risposta scontata, si cominciava a provare.
Dalle 14 e 30 del pomeriggio con una chitarra classica ed un mandolino, Publio e le gemelle davano il via alla “stagione musicale”.
Il negozio naturalmente faceva orario continuato e loro occupavano i tavolini che erano destinati ai clienti.
Ogni volta che entrava un gruppo di turisti per un gelato, dovevano rassegnarsi ad aspettare che finisse la canzone per essere serviti.
Le loro espressioni erano incuriosite, e aspettavano il loro turno senza mai dare segni di scontento.
Di Publio non ricordo d’aver mai sentito un appunto oppure un “si potrebbe fare meglio”, lui suonava per il solo piacere di farlo, e quando strimpellava quel mandolino, lo sguardo saliva verso l’ alto, rapito da un’estasi che lo alienava da tutto ciò che lo circondava.
A rompere le scatole, dal punto di vista tecnico erano le gemelle, pignole fino a quando ogni tonalità, ogni pizzico di corda non era al posto giusto.
Verso la metà del pomeriggio, nelle 3 o 4 sedie di fuori, arrivava il gruppo di “filosofi” con Elio Brugi, Giosualdo e altri personaggi che venivano in vacanza all’Argentario.
Le loro discussioni non erano figlie della televisione, ma delle loro esperienze sensibili.
Discutevano, ad esempio, di quanto e di come Dio si manifesti alla gente servendosi della natura: erano riusciti quindi, a capire dei concetti panteistici senza averli studiati.
Le prove intanto continuavano, e spesso e volentieri verso la fine, si divagava sulle ballate sudamericane, che una boliviana anch’essa in vacanza all’Argentario, aveva fatto conoscere e apprezzare.
Publio non si è mai cimentato in pubblico in quel tipo di ballate, ma sono certo che se lo avesse fatto avrebbe inculcato nei fischiettii dei suoi compaesani delle note un po’ più spagnoleggianti.
Grazie a Terramoccia e al suo spirito, sono riuscito a capire il vero significato della chiave che sua sorella lasciava attaccata alla porta di casa.
Lo spirito di Publio non è facile da capire se non l’hai conosciuto fino in fondo, e a dirla tutta neanch’io lo conosco fino in fondo, ma solo un po’.

Filippo Ingrosso