Storie dell’altro secolo: Il barcaiolo del Re
“Il ventesimo secolo, per l’Italia. iniziò in maniera drammatica. La sera del 28 Luglio 1900, a Monza, il Re Umberto I si stava allontanando a bordo di una carrozza aperta, dalla palestra “Forti e Liberi”, dove aveva premiato alcuni atleti. Ad un tratto, si avvicinò un giovane, il quale, armato di una rivoltella Hamilton and Booth Co., colpì a morte il Sovrano.
Il giovane attentatore fu subito arrestato ed identificato. Il suo nome era Gaetano Bresci, 31 anni, anarchico toscano, ma residente negli Stati Uniti da dove era tornato con il preciso intento di uccidere il Re. La motivazione del gesto la fornì lo stesso Bresci: voleva vendicare gli operai uccisi due anni prima a Milano, durante una manifestazione contro il caro vita. Molti, specialmente i più giovani, si chiederanno cosa c’entri questo fatto, con la storia del nostro Rione, non sapendo che in realtà cambio la vita di un nostro rionale e della sua discendenza.
Tale avvenimento portò all’incoronazione del figlio maggiore di Umberto, che salì sul trono con il nome di Vittorio Emanuele III. Questi era sposato con Elena di Montenegro e fino a quel momento avevano avuto una vita molto riservata. Possedevano un panfilo chiamato Jela, dal nome della Regina in slavo. Il loro matrimonio passò alle cronache sopratutto per il viaggio di nozze, che passarono interamente sull’isola di Montecristo dove rimasero per ben due mesi. Si dice che la Regina, che era soprannominata “la contadina”, si infatuò talmente del posto e della vita spartana che vi si svolgeva, che la scelse come meta preferita per le loro vacanze.
Finchè un giorno, causa il mare agitato, non potendo raggiungere l’isola, lo Jela poggiò nella rada di Porto Santo Stefano, non distante dalle case del Molo. Alcuni pescatori si avvicinarono all’imbarcazione, che venne identificata dalla bandiera di poppa con lo stemma di Casa Savoia. Uno di questi, era l’allora quarantenne De Gregori, del quale non sono riuscito a risalire al nome di battesimo, ma che era conosciuto da tutti come: Campanaro. Pescando di lenza, girava a circolo intorno al panfilo, quando la presa di un pescetto colorato, attirò l’attenzione della Regina, che stava prendendo un pò d’aria in coperta e fra i due iniziò un rapido dialogo:
Regina: “Che bei colori! Buon uomo, come si chiama codesto pesciolino?
Campanaro (impallidendo): “Sua Altezza, non posso dirglielo”.
R: “Ma perchè? Forza me lo dica”
C. : “No! Mi dispiace, ma non posso proprio!”
R: “Ma che problema c’è? Su me lo dica…”
C: “Non posso! È una parolaccia!”
R: “Ma cosa volete che sia mai…”
C: “E va bene… si chiama… si chiama… pesce di Re…”
R: “No, non ci credo! Voi mi nascondete il vero nome…”
C: (arrossendo): “E allora… se proprio lo vuole sapere… glielo dico! Si chiama: Cazzo di Re!”.
La Regina emise un gridolino, si portò il ventaglio aperto davanti al viso e corse a dirlo al consorte. Passorono alcuni minuti ed i Sovrani tornarono in coperta, e con l’aiuto di un marinaio fecero avvicinare Campanaro sottovento lo Jela, gli passarono una cimetta e lo invitarono a bordo. E fu la sua fortuna. Infatti, venne preso in grande simpatia, specialmente dalla Regina, e gli proposero di diventare “barcaiolo del Re”, per tutte le volte che il panfilo sarebbe giunto nella rada di Porto Santo Stefano.
Naturalmente, Campanaro, che abitava proprio al Molo, non si fece scappare quella ghiotta occasione, e gli fu assegnato un posto barca, proprio davanti a dove c’è ora il tabacchino, ed il tutto fu ufficializzato sui documenti di Casa Savoia e firmati dal Plenipotenziario del Re: Falcone Lucifero della Real Casa. Vi era anche scritto che il posto si sarebbe tramandato di padre in figlio. È ancora in vita, chi ricorda i Sovrani sbarcare sul Molo; Vittorio Emanuele aveva dei begli occhi, ma non era né bello né molto sano. Le sue gambe erano molto corte ed aveva il culo attaccato ai calcagni. Al contrario Campanaro era altissimo, superava il metro e novanta, e quando i due erano accanto, il Re gli arrivava ai gomiti. Elena era piacente, ma non bella. Il De Gregori, oltre ad essere marinaio, era anche un’ottimo contadino, come la maggior parte all’epoca, che non ci scordiamo erano i primi venti anni del secolo, e possedeva una vigna a San Giorgio. Aveva i piedi talmente grossi che le scarpe dovevano fargliele su misura.
Un giorno stava lavorando la terra calzando un paio di scarpacce tutte rotte. Preso dalla foga, il ditone gli uscì di fuori, e nel vederlo muovere lo scambiò per un serpe, dandoci sopra un colpo di zappa. Gli urli si sentirono fino al Molo. Inoltre aveva un’altra grande dote. Le gambe non erano due, bensì tre. Quella di mezzo, dicevano che era talmente lunga che, per non fargli toccare terra, aveva bisogno di due o tre nodi. Era sposato con Roma, che al contrario era molto bassa e piazzatella. I due, per quel che ricordo, ebbero tre figli: Beppino. Amalia la Campanara, e un altro maschio di cui non conosco il nome.
Roma, venuta a conoscenza che la Regina era ghiotta di panna montata, ogni volta che il marito raggiungeva il panfilo gliene faceva portare una scodella, da lei preparata con tanta cura. Inutile dire, che tra i Reali e Campanaro si venne a creare una forte amicizia, ed il vino che questi produceva a San Giorgio, il miglior aleatico della zona, era tutto per la Casa Reale. Da Roma veniva direttamente il camion dell’Esercito a prelevare le botti.
Si racconta che un giorno, di mattina presto, Campanaro si mise la mutata bona, e partì per Roma con un paniere di fichi secchi. Una volta giunto al Quirinale, fu fermato dalle guardie che non volevano farlo passare, finché lui esclamò: “Dite alla Regina che c’è Campanaro!”. All’insistenza dell’uomo le guardie cedettero e a sentire quel nome Elena lo fece passare ed andandogli incontro allargando le braccia disse: “Campanaro! Che piacevole sorpresa! Qual buon vento vi porta?” Campanaro per nulla impacciato rispose: “Mia Regina, ho portato du fichi secchi pe quei bastardelli…” (riferito ai figli). Entrò talmente nelle loro simpatie, che ho sempre saputo, che gli fecero fare il compare di Cresima dell’ultimogenita Maria.
In seguito ci fu la disgraziata scelta dell’appoggio al Fascismo, le visite a Montecristo si diradarono fino ad annullarsi, la fuga in Egitto, il Re di Maggio, l’otto settembre, gli Americani. Il referendum sancì la fine della Monarchia e la nascita della Repubblica Italiana. Nel frattempo Campanaro morì, ma con il dopoguerra inizia la seconda parte della storia. Beppino, il primogenito, si sposò con Fiore, appartenente ad un’altra famiglia storica Pilarellaia. Era infatti una delle figlie di Piro Mirro, detto Mirrodifava. Questi veniva dall’isola del Giglio, e sposò una Pilarellaia, una Boschetti, imparentata con Genesio Loffredo.
La coppia si stabilì nella casa di famiglia, che è ancora oggi, tutto il primo piano sopra il Bar Grottino. Il palazzo è conosciuto da sempre come: di Campanaro. Beppino, motorista, una vita passata sul peschereccio di Genesio il Tirrenia, una volta nel mettere a punto il motore, mise il paletto nel volano. Alla fine di tutte le operazioni se lo scordò. Mise in moto per le prove, il paletto partì come un missile, e per poco non sfondava la murata. Ma il sogno di Beppino era un’altro; quello di sfruttare il posto barca che il padre gli aveva lasciato in eredità.
Si fece costruire una bella barca, in coppale, un vero lusso per l’epoca, primi anni sessanta. Gli diede il nome di Luciana, la figlia, anche lei una delle bellezze che salì sul carro dell’uva del Viti. E poi un’altra, più piccola, che chiamò Marcello, come il primogenito. Marcello era molto fine, aveva preso tutto della mamma, e fu uno dei primi comandanti del dopoguerra. Nel periodo del boom economico, fino alla fine dei ’70, Beppino svolse il servizio di barcaiolo, portando i turisti nelle cale dell’Argentario. I turisti, che arrivavano al Molo, non conoscevano il nome del sindaco, ma chiedevano: “scusi, conosce il barcaiolo Campanaro?” Una leggenda. È stato senza alcun dubbio il numero uno. Era basso, avendo preso tutto da Roma, la mamma. La faccia… la faccia… per descrivervi la faccia, ho bisogno di raccontarvi un fatto che mi è rimasto nella memoria.
Nel 1968, al Festival di Sanremo. partecipavano anche gli artisti stranieri che cantavano in coppia con i cantanti italiani. Insieme a Lara Saint Paul, venne chiamato da oltre oceano, uno dei più grandi artisti del secolo: Louis Armstrong. La sua appirizione bucò il video, e ancora oggi è ricordata come una delle pagine più emozionanti della nostra televisione. Quando il jazzista di colore, iniziò a cantare in un italiano maccaronico: “Ciao, stasera son cki, me va de cantciare si tu si co mi…” tutta Italia si fermò incantata. Poi, siccome sudava copiosamente, con nonchalance tirò fuori un fazzoletto bianco e si asciugò la fronte, con le pupille fuori dalle orbite. Ecco! La mattina dopo, in paese tutti dicevano: “L’avete visto a Campanaro?”. Era uguale!
Tornando all’attività di barcaiolo, c’è da dire che le operazioni di varo e alaggio della Luciana hanno fatto scuola perfino alla Fincantieri. Precedeva tutti, i primi di Ottobre, quando la stagione balneare era ormai un ricordo, e le prime grecalate minacciavano l’ormeggio davanti al tabacchino di Giulia e Andrea, proprio di fronte alle scalette. Beppino preparava le falanghe insegate, palanchine e sopratutto una bella scorta di moccoli. Dei più coloriti, che non sto qui a ripetere. Il tutto per mettere la Luciana nel magazzino in fondo a destra di via Iacovacci.
Nel magazzino vi trovava posto anche il Marcello, guzzo di servizio a remi, barca da lavoro, che nel periodo di grande richiesta noleggiava a scafo nudo equipaggiandolo con un motore fuoribordo a gambo lungo, probabile reperto delle X-Mas. I lavori di rimessaggio della Luciana, dopo un’accurato lavaggio della carena con frattazzo e spazzole iniziavano dopo il Carnevale, perchè per la Santa Pasqua doveva già essere in mare per le prime gite. Beppino non aveva bisogno di agenzie turistiche, era sempre pieno nel periodo estivo, riusciva a fare anche quattro gite al giorno, lasciando le briciole alla concorrenza di Paolino e Nicola, i quali si dovevano accontentare del suo over booking.
Un affezionato cliente era il Signor Pallino, che portava uno zuccotto blu con la nappa, come ha ricordato l’amico Manzoni, ma la caratteristica era che la nappa era penzoloni e li calava sulle spalle, una specie di quella di Eduardo in “Natale in casa Cupiello”. Inoltre, ultra settantenne aveva una compagna giovanissima e bella di cui era molto geloso, e portandola in barca non la faceva spogliare fino a quando non avevano scapolato il Moletto. Pallino, ha poi affittato la casa di Fiore, passandola poi al figlio, che l’ha tenuta fino allo scorso Dicembre.
Le più grandi incazzature, che definirei epiche, Beppino se le prendeva quando, ritornando tardi dall’ultima gita, trovava il posto occupato. Allora ormeggiava la Luciana alla bona accanto al Marcello, e come un puma ferito saltava sulla banchina. Si metteva di poppa all’usurpatore imprecando e smoccolando. Questi sentendo nominare confusamente il padre, il Re, la Regina, i fichi secchi e vedendo quest’uomo che si sbatteva in terra come in preda al demonio, non poteva che mollare gli ormeggi ed andarsene in rada.
Però, quando arrivavano i viareggini con il North Star, glielo lasciava, previo lauto compenso, in dollari. Non vorrei sembrare il solito nostalgico, ma ricordare quel Molo e questi personaggi mi mette tanta malinconia, ma ringrazio di averli conosciuti. Mi sembra di vederlo Beppino, con la canottiera bianca, cacine color nafta, cappelletto con la reclame della pittura o di qualche concime, mentre faceva la colazione da Giulia. Due cornetti inzuppati nel caffelatte al vetro. Poi tirava fori il portasigarette di plastica ingiallito e si fumava una nazionale senza filtro. Il periodo invernale era dedicato alla campagna, San Giorgio, la grotta e l’orto alla montagna in supporto a Linda, la cognata, altro mito.
A questo punto non possiamo non ricordare il mitico apetto 50 arancione. Sfrizionata e via fino a San Giorgio in prima tra i lamenti strazianti di quel povero motore che ha superato tutti i maltrattamenti del suo driver. L’apetto rientra a buio al Molo prima di buio, carico di tutte le primizie dell’orto, di mele cotogne, cachi, nespole, saracie che Fiore metteva sotto spirito per l’inverno a venire.
Beppino e Linda usavano riempire un fustino dell’olio Esso con la loro m….a, da usare per concimare la montagna. Una volta riempito lo tenevano per una settimana a fermentare sul balcone. Solo che un giorno nel trasportalo, dopo la prima rampetta di scale, il fustino scivolò ad uno dei due, riversandosi per tutte le scale. Vi potete immaginare la puzza, ma non quello che si scatenò. Una guerra punica! Tutti contro loro due. Alda, Elda, Bice, Meca. Dovette intervenire a fare da paciere il postino (ve lo ricordate?), che uscì tutto graffiato e la mattina dopo consegnava le lettere con la faccia tutta incerottata. Oggi la dinastia continua con i nipoti di Beppino, i figli di Marcello e Luciana, vale a dire Patrizio De Gregori, Massimo, Alessandro e Daniele Massimi. I primi tre, lunghi, hanno preso del vecchio Campanaro.
L’unico che fisicamente assomiglia a Roma e Beppino è Daniele, maresciallo di Marina, che però parla come Sauro Bombardiere, il babbo. Con la Cooperativa di Zi Meo, l’ormeggio al posto barca cambia ogni sera. Ma se ritorna il Re? Se ritorna il Re, quel posto torna di nuovo alla famiglia De Gregori, e secondo i fogli di Falcone Lucifero, il barcaiolo dovrebbe essere tale Socrate, il figlio del fratello di Beppino. Classe ’48, vive a Civitavecchia. Mai avuto tanta voglia di lavorare, ma sempre posti buoni. Rimorchiatori Riuniti, Traghetti Tirrenia ecc. ecc. E senza raccomandazione. Solo grazie a… cazzo di Re.
“Io ascoltavo, assorbivo tutto ciò che udivo e sentivo crescere in me l’affetto per il vecchio barcaiolo dai movimenti svelti a dall’intelletto a prima vista ottuso, ma al contrario penetrante e vivace…” (dalle “Novelle del Caucaso”).
Ciao
Una rotonda sul mare il nostro disco che suona