Storie dell’altro secolo: Ninetto il nostromo
Commentando le storie precedenti con gli amici, finisce quasi sempre che qualcuno, non sapendo di trovarsi di fronte uno degli autori, si chieda il perchè Rotonda non abbia ancora raccontato di tale personaggio o di tale avvenimento. Uno dei più richiesti è senza ombra di dubbio quello con cui ci piace aprire la terza serie alla ricerca delle nostre radici, sperando di farvi ancora divertire ed allo stempo tempo riflettere.
a Zilia
Costanzo Tommaso nacque nel 1923 da Amedeo e Severina. Lui marinaio e la madre come ho già raccontanto più volte,” fornaia del Molo”. Una famiglia ricca di figli, ben sette. Due femmine e cinque maschi, di cui Nino era il penultimo. Abitavano al Moletto, precisamente al Bagno Stella, dove oggi si trova il garage della Capitaneria. Un magazzino per tutti. Pieno di sacrifici e tanta felicità che soltanto i bambini potevano trasmettere. Erano anni duri a cavallo dei due conflitti che avrebbero messo il paese in ginocchio. Insieme ai fratelli, Nino aiutava la mamma al forno ed il suo primo vero lavoro lo ottenne intorno ai tredici anni quando fu scelto da Padella per portare il cane Pippo a pisciare. Padella, al secolo Ettore Pellegrino, era l’allora Podestà di Porto Santo Stefano ed abitava nel Corso Umberto dove ora c’è il Monte dei Paschi. Nino andava in casa di Padella almeno due volte al giorno e portava il cane a passeggio. Accanto alla cuccia trovava i biscotti che il padrone aveva lasciato per Pippo, ma si guardava bene di darglieli e se li mangiava lui. Gli anni a seguire furono terribili per tutti. Mussolini, la divisa da giovane Balilla, il conflitto. Passato tutto trovò un imbarchetto come mozzo-lavapiatti su un vecchio rimorchiatore americano sempre ormeggiato davanti le scalette di Giulia. Intanto passava le ore di svago al Bagno Stella con gli amici, il Guitto, Pietrone, Bruno di Cecchinella ed altri. Solo in seguito la famiglia si trasferì allo Sconcione. Era di bassa statura, come del resto tutti in famiglia, ma aveva un fisico asciutto con un torace possente. Bella faccia ma gia verso i trentanni aveva perso quasi tutti i capelli. A noi che nei primi sessanta avevamo intorno ai dieci anni e fummo i primi a fare la raccolta di figurine Panini, assomigliava in modo impressionante a Giacomo Losi, core de Roma, il capitano dell’allora Rometta. Con la Pilarella ha vinto ben tre palii. Il primo nel 1946 da timoniere ed il secondo l’anno seguente come secondo reme con il fratello Adorno al timone. Il terzo nel 1954 fu quello epico. Epico perchè fu il primo dei quattro di fila. Insieme a Toretto, la Coppietta e Mario. È il palio che 45 anni dopo i ragazzi portano addosso fotografato sulle magliette. Quella stessa foto che potrete vedere in alto nella home-page del sito. Guardatela bene quella foto. In quel braccio alzato con il pugno chiso potrete immaginarvi tutta la grinta che Nino possedeva. Nel 1951 si sposò con la figlia di Teresa, Zilia e quindi divenne cognato di Publio Terramoccia il “Poeta”. Hanno avuto due figlie, la prima che prese il nome della suocera e vive da tanti anni a Venezia nel 1952, la seconda Mara qualche anno dopo che è sposata con Cencio Cappuccella. Appena sposatosi Nino si imbarcò sulle petroliere dell’Agip prima da marinaio, ma ben presto fu promosso nostromo. Gli imbarchi erano lunghi, ma ogni volta che la nave veniva a scaricare in Italia, Zilia partiva in treno e raggiungeva il marito. Scaricavano alle boe, ciò per cui le mogli dovevano raggiungere la nave con la motobarca ed una volta sotto bordo venivano imbracate dentro dei gabbioni e tirate su. Nino era molto stimato dai comandanti e si sapeva far voler bene e spesso gli lasciavano la loro cabina dotata di salotto e bagno, bidè compreso, in modo tale che lui e Zilia potessero avere la più completa privacy. Sul finire degli anni sessanta lasciò il cane a sei zampe per passare a quella che era diventata in breve la compagnia più all’avanguardia della nostra flotta: i Canguri. Ed è allora che io ho potuto conoscerlo meglio avendo fatto un imbarco con lui di ben cinque mesi. Anche se io sono di macchina potei apprezzare le sue capacità professionali ed il modo in cui teneva allegra la ciurma. Ma sopratutto imparai a fare “la valigia”. Era un maestro. Quelli che hanno navigato sanno quello che voglio dire, ma proverò a spiegarlo per i più giovani. I marittimi quando tornavano a casa usavano portare a casa ogni ben di Dio, considerato però contrabbando dalla legge. Nino riempiva la valigia all’inverosimile.
Sigarette, bottiglie, burro, cioccolato per la moglie, caffè, parmigiano, carammelle per le bimbe. A volte faceva anche una cassa imballata piena di roba pesante ma infrangibile e la spediva via ferrovia. Ma il difficile era far passare tutta questa roba alla dogana. C’era gente che proprio non ce la faceva. Io ricordo la mia prima volta. Genova. Varco dei Mille. Nino con due valigie stracolme. Io una piccola con dentro due stecche di MS e una bottiglia di Johnny Walker. Non mi entrava un ago in … Lui mi disse di stare zitto e di lasciar fare tutto a lui. Entrando fece due pirorette al maresciallo, gli dette una stecca in mano, dicendo che ero il suo nipote. Morale della favola i finanzieri ci fecero passare con tanto di saluto. Mi raccontava che l’apertura della valigia in casa era un vero rito. La mattina appena svegli, Zilia metteva una coperta sulla tavola e sopra aprivano. La moglie con le mani appoggiate sulla tavola rimaneva ogni volta piacevolmente meravigliata nello scoprire il contenuto di questa valigia “magica”. Ogni volta che Nino veniva in licenza, il Comandante doveva ordinare un tir da Ligabue per le provviste. Prima che qualche benpensante mi metta in bocca cose che nemmeno penso, premetto che Nino tutte quelle cose le pagava, certo a prezzo di bordo. L’unica cosa che commetteva era contrabbando,ma chi era che non lo faceva? Eravamo imbarcati sul Canguro Fulvo, l’unico adibito al trasporto merci e facevamo i viaggi fissi per Gedda. Al passaggio del Canale di Suez saliva a bordo “Giovanni Grandi Magazzini” con la sua mercanzia. Lui e Nino erano diventati grandi amici e finiva sempre che facevano scambio merci. Nino acquistava giacche di pelle, di velluto, souvenirs, ma anche avorio, argento ed in cambio dava pennelli, tute, pittura. Giovanni diceva:” Ninetto tu fregare me..tu essere peggio di Alì Babà…”. E poi andavano in cambusa a bere. Solo che Giovanni non era abituato e si ubriacava essendo in quei paesi proibito bere alcool, ormai la moglie sapeva che ogni volta che passava il Fulvo lui stava fuori una settimana e ritornava con il convoglio di ritorno. Negli anni sessanta si fece costruire dal vecchio Mileo una barca a cui mise il nome “Maresa” dall’abbreviazione dei nomi delle figlie. Il Maresa fu una delle barche storiche di quel periodo, seconda forse solo alla Luciana. L’ultimo esemplare simile ancora oggi in attività è il “Dovere” del fu Armido Della Monaca oggi in dotazione al figlio. Il nipote di Nino, Lello figlio della sorella Rosa, era addetto alla manutenzione del Fariman, mentre Publietto o Billy venivano ingaggiati per mettere lo scotch per disegnare la linea di galleggiamento, a scrivere il nome e per i lavori con la tela alona fornita con la pittura Veneziani dalle spettabili Linee Canguro. I primi anni di attività del Maresa erano a scopo puramente ricreativo. Memorabili le zaccandrelle a Calapiatti o a Capodomo preceduta da calata di tramagli a scorfani con Dudù capopesca. Alle gite partecipavano tutti i Chidini e a volte servivano un paio di viaggi. Augusto di Palmira, Consumi, Nino Boschetti, Umbertone, Gigi Bistecchi, Meazza, i Papetti, Lardò, Netto, Mario il Motorista e Publio con la chitarra che da quelle zaccandrelle prese spunto per alcune delle sue indimenticabili canzoni. Altre volte la barca veniva usata per portare le coinquiline di Via del Molo 35 e dintorni a fare i bagnetti alla Cacciarella. Quando finalmente venne in pensione la Maresa divenne barca da trasporto per passeggeri in concorrenza con Campanaro, Nicola e Paolino. Ormeggiava all’angolo davanti alla friggera di Sergio. Inoltre aveva il controllo della banchina dal Marinaio al Moletto. Chiunque ormeggiava doveva pagare il pizzo. C’erano l’Enea, il Dinamite Blà dell’avvocato Cingomma, la Paola, il Colonnello ed altri. Ma questi erano i secondi lavori, diciamo quelli al nero, perchè il lavoro ufficiale era quello di ormeggiatore in quanto insieme ad Augusto il Gago presero il posto di Zi Bubi e Fortunato Lumacone e con loro il servizio fece un salto di qualità dal punto di vista economico. Non si accontentavano più delle mancette ma venne stipulata una tassa minima sotto la quale non facevano ormeggiare, fosse pure il panfilo di Leone allora Presidente della Repubblica. Di solito a trattare era il Gago. Una volta negli anni ’80 scese un comandante e gli diede 10000 lire. Augusto non sentì seghe, guardò prima Nino e poi gliele tirò in faccia appallottolate. E in quel periodo 10000 lire non erano proprio una sciocchezza. Se poi tornava un panfilo che era già venuto e non era stato di manica larga non lo facevano ormeggiare neanche ci fosse stata mezza banchina libera. Con le braccia facevano ampi segni di andarsene al valle. Poi c’era Secondo Mamone che completava il terzetto. L’acquaiolo. Altri tempi.Magari fra trent’anni si dirà le stesse cose di quelli di oggi. Mah…sarà…
Nino usciva tutte le mattine prima delle otto per andare al mercato e a prendere il pane. Ricordo ancora una mattina dell’estate 1983, quando davanti al Grottino era ormeggiato un panfilo di nome “Falcao”. Al comando c’era Sirio Cacarella, il mattatore dell’estate appena conclusa. Dalla passerella scendeva proprio lui: Paulo Roberto Falcao. Fresco vincitore del secondo scudetto giallorosso. Alto, bello, elegante, i riccioli biondi che gli nascondevano il collo taurino. Calzoncini e maglietta bianca, zoccoli della farmacia. Era proprio l’ottavo Re di Roma. Una volta messi i piedi sulla banchina si trovò davanti Nino che, posando i sacchetti in terra gli mise una mano sulla spalla destra. Stette un attimo in selenzio guardandolo fisso negli occhi e poi gli disse: “Farcà … mi raccomando eh! “. Il campione non aprì bocca ed intimidito scosse la testa facendo il segno di sì. Nino riprese i sacchetti e salì da Zilia. Era un grande imitatore del verso degli animali. Sembravano veri. Il cane, il gatto, la pecora, il gabbiano. Ma il meglio di se lo dava nella “raganella”. Specialmente quando era un pò “allegro”. Mi hanno detto che esiste una audio cassetta registrata agli inizi anni ’80 durante una cena in un locale del Molo. Caiola che canta, Salvetto che dice le storielle ed appunto Nino, che a grande richiesta fa una grande performance della raganella. Chiunque sia in possesso di tale registrazione sappia che è di un immenso valore culturale e patrimonio di tutti. Che sia conservata con cura, poi magari quando un giorno faremo il museo del Rione, se vorrà la potrebbe mettere a disposizione. Nino vestiva semplicemente, ma sempre in ordine. In estate calzoncini e canottiera con ciabatte intrecciate. In inverno jeans, camicia scozzese, maglione e giacchetto. Pescatore di totani. Ogni sera scendeva sulla banchina. Non ne saltava una. Sia con il cielo stellato o con la tramontana pungente. Anche con la pioggerellina. E ne prendeva. Altro che se ne prendeva. Ogni mezzoretta entrava al Grottino per riscaldarsi e per farsi un frizzantino, che lui battezzò:”camomilla”. Parlando di Nino come non ricordare la “grattata di palle”. Con lui diventava arte. Ormai era diventato un gesto automatico. Lo faceva senza rendersene conto. Bastava che uno gli chiedesse:”Com’è Nino…” e lui allargava la gamba destra e …zà. Pamela Viti gli dette in concessione il magazzino in cima agli Scaloni e lui ci fece “la Cala del Nostromo”. Era un mix tra cambusa e magazzino. Vi si poteva trovare ancore, cime, moscatello, vino della Valle del Castagno di Cappuccella, musciame, giarrette di acciughe salate, totanaie di tutti i tipi. I pomeriggi invernali li passava da Giulia a giocare a carte, ma negli anni ’90 sono diventate famose le partite a carte, lui in coppia con Raffaella Carrà e Salvetto con Iapino. A volte al posto di Iapino in coppia con Salvo giocava Renato Zero. Chi ha presenziato a queste sfide non se le potrà mai scordare. Raffa lo chiamava Ninetto, ma il meglio di sè lo dava Salvetto che tra grattate di naso e di spagnoletta apostrofava il povero Renato in tutti i modi. Quello era vero reality altro che i grandi fratelli. Ma vorrei ricordare Nino sopratutto come uomo di casa. Per lui Zilia era una Regina e come una Regina l’ha fatta vivere. Da quando è venuto in pensione ha fatto tutto lui. E lo faceva con orgoglio non come certi mariti che neanche ci pensano o peggio ancora lo fanno ma si vergognano di dirlo. Sono stati una bella coppia. Molto romantica. Come non ricordare Nino quando tutte le sere d’estate scendeva per andare a prendere due gelati. Uno piccolo per lui ed uno gigante per Zilia. Tanta cioccolata e un pò di torrone. Mentre camminava verso il portone dava una leccata di qua e una di la per non farlo colare. E poi se lo gustavano insieme sul balcone. Nino se nè andò in una fredda serata di inizio 1997, una di quelle sere in cui le sarebbe tanto piaciuto essere a totanare sulla banchina. Bavero rialzato, berretto alla Nostromo e sigaretta in mano…..
La zaccandrella.
Verso ‘l tocco mi son ritrovato una zeta sul petto
dù colombe m’han detto:” Caramba! Ma mica sei Zorro…”
e con l’olio che c’è nello zirro, si frigge lo zerro…
siam zuzzurulloni-olè, olè, olè-chissà lo Zucchino dov’è
Evviva li stradini della za-za-zaccandrella
li scariolanti belli del cù-cùcuccuruccù…
beviamo all’amicizia ed all’amore,
beviamo al fiore della gioventù…
Se da mezzogiorno spunta un altro caballero
c’è sempre pane, olio, pomodore e ‘n pò di schiaccia
balliamo insieme questa cucaracha
balliamo insieme questo tarascon!
Qualche volta dobbiamo invelarci per questi paesotti
per cantare le nostre avventure d’amore e di gloria
per adesso, arriviamo alla Grotta di Nonna Vittoria
ciao
Una rotonda sul mare il nostro disco che suona